Laboratorio di Poesia, a cura di Alfonso Maria Petrosino, esce l’ultimo venerdì del mese su ‘Poesia del nostro tempo’. Vengono commentati i versi degli aspiranti poeti del Laboratorio online e scelta la poesia del mese

Maria Rosaria Teni invia tre brevi poesie e in tutte e tre spicca la parola “silenzio”. Coerenza? Ossessione? Le reminiscenze letterarie sono inquadrate in versi composti per lo più da due elementi. Una ungarettiana ad esempio (“Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso”) in questi:

La solitudine
abbraccia parole
scavate nel silenzio
alla luce incerta
di un mattino d’inverno
aspro di tenerezze

Mentre quando parla di una “favola infinita che / mi illuda di esistere” riecheggia magari quella che illuse Ermione. Il dettato risulta fin troppo composto e addomesticato, in particolare quando la figura retorica imposta il testo, come fa l’anafora “Mi vestirò” che introduce tre strofe di fila. Ma non sono rare le accensioni ovvero le buone idee – o, meglio, la buona resa di un’idea – come l’ossimoro che chiude la poesia su riportata o il doppio chiasmo con cui illustra il fatidico momento di un trapasso:

L’ossigeno si arresta
si spegne il respiro
una maschera si svuota.

Guido Turco ha un lessico ricco e una tavolozza che potrebbe andare dalla sentenza all’ironia – e quindi, volendo, ironicamente sentenziare. Tante le rime interne allo stesso verso (collezioni: collazioni, raffinerie: fonderie, svantaggi: tatuaggi, detersa, aspersa) che come acceleratori ritmici funzionano bene; buona anche l’idea di affidare a un’osservazione anodina un significato esistenziale (“Se chiedi la posizione / i satelliti rimandano all’ultimo parcheggio”). Ecco la poesia da cui è tratta:

DEVO QUALCOSA A PHILIP LARKIN

Non faccio caso agli schiamazzi
li attraversavo come ci fila il treno
i residui industriali le finestre rotte
non riuscendo a filare capisco
come la vita possa contenere
le torri delle raffinerie le fonderie
e i biscotti sbriciolati
per uccelli che non riesci mai a vedere.
Che fosse possibile imparare
lo dicevano loro, ma chi sa spiegare
le strisce pedonali con lo stesso
colore del catrame, i lampeggianti
indifferenti al traffico intorno.
Se chiedi la posizione
i satelliti rimandano all’ultimo parcheggio.
Intanto il pomeriggio è passato
il buio si lascia andare, nessuno lo può
fermare.

Nel titolo si potrebbe scorgere un andamento analogo a “Ho rubato due versi a Baudelaire” di Bertolucci?

Come poesia del mese scelgo questo trittico di Yael Merlini, essenziale e ingegnoso allo stesso tempo, per il sintagma in inglese che s’infila nel testo come un taglio appunto e per le immagini corpo/coperta, vertebre/cerniera, palmi/ventagli che reificano e allo stesso tempo rendono il corpo ancora più reale di quello che è. È bello confrontare la vicenda del respiro dei versi di Teni citati prima e quella presentata qui.

carta di vetro
la voce
che consuma
i polmoni

lama che taglia

so much

*

ho lasciato il mio corpo
sul letto

è ancora caldo

potete usarlo
come coperta.

*

coi palmi a ventaglio
mi srotolo,

le vertebre cerniera
conto col respiro
in gola

e il corpo si schiude.

 

Alfonso Maria Petrosino ha pubblicato quattro libri di poesia, Autostrada del sole in un giorno di eclisse (OMP 2008), Parole incrociate (Tracce 2008), Ostello della gioventù bruciata (Miraggi 2015) e Nature morte e vanità (Vydia 2020). La sua poesia, che descrive luoghi e situazioni in relazione a un paesaggio urbano e all’umanità che lo abita, si avvale di una metrica precisa e raffinata. La redazione di Poesia del nostro tempo ha scelto Alfonso Maria Petrosino per impersonare la figura del maestro, capace di leggere attentamente e suggerire soluzioni, anche ai neofiti della poesia, proprio per la sua capacità sia di aderire al “canone”, alla tradizione, che di frequentare i nuovi palcoscenici della poesia, dagli happening e alle performance al poetry slam, essendo stato campione indiscusso di queste scene per molti anni.

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