da Un an. Poesie in dialetto romagnolo (Il Ponte Vecchio 2020)

FEBRÊR

L’è invéran.
Cs a vut cmandê a st’êlbur insticlì?
T’é fân?
U t’avreb da dê
chi du ẓarmoi d’un êtar culór,
dulz cum i biṣ d’un babin,
ch’i scapa fura
da i râm griṣ?

L’è invéran.
Nânca i babin i l’sa
ch’u bṣogna stê d’astê,
i babin ch’i magna
da ’l radiṣi e da e’ sól.

Mo se l’ invéran
u va tröp da lòngh
u j arvânza la fân
e quânt i cres,
dal vôlti,
i s’scôrda da do ch’u vân che pân
e i t’e’ cmanda a te,
nânca s’l’è invéran,
e, dal vôlti,
j à e’ curag
ad ciamêl amór.

FEBBRAIO

È inverno.
Cosa vuoi chiedere a quest’albero stecchito?
Hai fame?
Dovrebbe darti
quei due germogli di un altro colore,
dolci come i baci di un bambino,
che escono fuori
dai rami grigi?

È inverno.
Anche i bambini lo sanno
che bisogna aspettare,
i bambini che mangiano
dalle radici e dal sole.

Ma se l’inverno
dura troppo a lungo
gli resta la fame
e quando crescono,
a volte,
dimenticano da dove viene quel pane
e lo chiedono a te,
anche se è inverno,
e, a volte,
hanno il coraggio
di chiamarlo amore.

 

MÊRZ

Tot u nas znin,
u l’diṣ nânca i ciniṣ.
E’ tei a e’ prinzipi
l’è sól un profom,
la néva ch’la ciutarà
tot al röbi
l’è un tarmon dl’aqua,
l’aqua l’è la voia de’ zil
dl’umór dla tëra,
una ca l’è un ṣvuit ad êria
pin ad luṣ, la luṣ
l’è la fân dj élbur,
l’amór l’è la ludla
d’un sas contr’un sas,
e me,
sânza ba nè ma,
sânza fi ul, amigh, fradel,
sânza voi nè pavuri
a sareb sól un quël
ch’u vô dvintê…

A j ò bṣogn ad do röbi:
daṣìm da bé,
daṣìm da magnê.

MARZO

Tutto nasce piccolo,
lo dicono anche i cinesi.
Il tiglio al principio
è solo un profumo,
la neve che coprirà
tutte le cose
è un brivido dell’acqua,
l’acqua è la voglia del cielo
del sapore della terra,
una casa è un vuoto d’aria
pieno di luce, la luce
è la fame degli alberi,
l’amore è la scintilla
di un sasso contro un sasso,
ed io,
senza padre, né madre,
senza fi gli, amici, fratelli,
senza desideri né paure
sarei solo un qualcosa
che vuole diventare…

Ho bisogno di due cose:
datemi da bere,
datemi da mangiare.

 

Laura Turci è nata e vive a Meldola, un paese in provincia di Forlì. Scrive in dialetto meldolese.
Presso la casa editrice Il Ponte Vecchio di Cesena ha pubblicato la sua prima raccolta Al carvaj ( Le crepe) nel 2006, seguita nel 2012 dalla ristampa dello stesso volume con l’ aggiunta di nuove poesie. Sempre nel 2012 è parte dell’ antologia Minorities not minority, una raccolta di poeti dialettali romagnoli tradotti in inglese, edito dalla casa editrice gallese Cinnamomo Press, in collaborazione con la casa editrice Moby Dick di Faenza.
Nel 2014 è parte dell’ antologia di poesia dialettale L’ Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila (Gwynplaine 2014) a cura di Manuel Cohen, Valerio Cuccaroni, Rossella Renzi, Giuseppe Nava e Christian Sinicco.
Nel 2015 partecipa all’ antologia di poeti dialettali traduttori Con la stessa voce edita da LietoColle e a cura di Maurizio Noris e Piero Marelli.
Sue poesie sono apparse su diverse riviste, italiane e straniere, come La ludla, Confini, Tratti, RAK (Slovacchia), Tribuna ( Romania).
La sua ultima raccolta di poesie è Un an. Poesie in dialetto romagnolo (Il Ponte vecchio 2020).

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