Immagine di Mira Nedyalkova 

Dalla nota dell’autrice

[…] Il corpo che ingombra, che non riesce a farsi piatto e invisibile, che non vuole sparire. Il corpo che bussa ed è un ostacolo mentre è il primo emissario del sé. Una volta, per l’intervista con uno scrittore, non so come, mi venne l’idea di mettere in campo un ragno acquattato nella sua tela, testimone comodo. Ecco, vorrei essere così: esserci senza esserci. Una volta un amico mi ha fatto notare che in un testo avevo insistito sul verbo spiare. Ecco, questo vorrei fare, SPIARE. Non per voyeurismo ma per non condizionare chi guardo agire e ascolto parlare, e lasciare tutti liberi di essere sé stessi, genuinamente. Il bello della relazione è l’influenza reciproca, la capacità di ciascuno di tirar fuori cose dall’altro. Ma io non vorrei tirar fuori nulla dall’altro, niente più di quanto l’altro spontaneamente senta o ignori del tutto di poter dare: solo così lo si può conoscere l’altro davvero – guardandolo come in un film. Anche io potrei essere vista a mia volta: perciò vorrei sparire. Nell’era del video (o dell’immagine), spero di poter spiare senza essere vista. Chiamiamolo SPYERISMO.

da  Melamangiai (RPlibri 2018)

Autofiction

Ho letto una autofiction.

Non mi è rimasta impressa eppure penso spesso
alla esposizione del dire “io”, così autoindulgente,

a conti fatti falsa. E in tutto quell’autodenunciarsi,
in quel dire “io”, cioè tutto di sé, nome, cognome,

età, stato civile, alla fine nulla è vero. In tutta
quella bolla di affabulazione è andata perduta

un’occasione: di conoscersi davvero. La protagonista
l’ha mancata completamente, l’ha saltata, doppiata.

La composizione e le sue tecniche, l’approntamento
di una macchina di narrazione in tre movimenti,

un sistema complesso ben oliato e funzionante,
tutto cerca la verità, dichiara per programma di farlo,

e la manca clamorosamente. Chi dice “io”, non riesce
a dire, “sono stata io”, “è colpa mia”, “sono mie le colpe”.

Il caso ricostruito si riduce a uno psico–caso, le colpe
discendono dai padri, diacronìa classica e mendace.

Non nei risultati o nei dati elementari, ma nel metodo.
È acclarato definitivamente: come genere letterario,

l’autofiction è il più falso in assoluto. Fin dall’inizio.
Si fa passaggio liscio, ideale al romanzo da rotocalco

 

Dove mi trovo

Il presente è il tempo unico
Ritorno a uno stato ricorrente

Inseguo sempre, corro lungo un termine
La linea è un tracciato che si muove

Sono sempre sull’orlo, subito dopo
Annaspo al centro del cambiamento.

Mi sposto, raggiungo il limite seguente
Supero la linea e torno al centro.

Non conquisto mai una terra ferma.
Scivolo sempre portata dall’onda

 

Trovati un posto

La questione di fondo è: dire la verità.
Trovati un posto dove la verità ti trovi.

Predisponi l’itinerario, un’andata e ritorno:
tu che vai verso il vero e il vero che ti raggiunge.

Vuol dire che non escogiti scorciatoie né fughe.
Vuol dire che non ti travesti neppure a scopo mediatico.

Del resto si può dire la verità sotto una falsa veste?
Si può comunicare il vero con la menzogna?

Smettiamola di ingannarci. Torniamo al grado
zero della dicitura. Neppure più diciamo.

Vuol dire che andremo dritti. Vuol dire
che smetteremo di girarci intorno, e di chiedere

all’altro di risolvere rebus, di interpretare pronostici,
di studiare indovinelli. Smetteremo di credere,

non pronunceremo atti di fede. In senso proprio
verificheremo: renderemo tutto vero

*

Desidero diventare
inesistente.

Il corpo mi sta davanti,
si mette di mezzo,
si mette di traverso.
Il corpo resta. Ingombra. Invade.

Le forme callipìge
dovevano scomparire
davanti al salvatore.

Dovevo consistere
nel vuoto, nel piatto liscio
di porcellana lucente.

Dovevo inconsistere.
Devo, ancora.
Devo destare rilevanza
poca. Nulla.

Devo inesistere

 

Daniela Matronola, nata a Cassino nel 1961, dal 1992 vive e lavora a Roma. Nel 1984 si è laureata in Letteratura AngloAmericana con la poetessa toscana Margherita Guidacci. È stata allieva di scrittura tra il ’90 e il ‘92 di Edoardo Albinati e Sandro Veronesi, e ha poi lungamente collaborato con OMERO, scuola di scrittura e rivista. Da allora recensisce intervista e traduce autori italiani francofoni e anglofoni tra i quali Richard Ford (lui nel ’95 le regalò un personal essay sui suoi primi passi da scrittore). Ha collaborato con numerose testate culturali tra cui Alias, Diario della Settimana, Linea d’ Ombra, Nuovi Argomenti – da qualche anno è nella redazione di Leggendaria e collabora a succedeoggi.it. Nel 1997 è stata inclusa nell’antologia La sedia di paglia si è rotta del Premio del Premio Dario Bellezza per la Poesia Inedita I Edizione. Nel 1999 ha pubblicato Cartolina Da Parigi, opera fotopoetica con prosa finale (BlackHole/Linea Grafica), incoraggiata dalla fotografa Sebastiana Papa. Nel 2000 ha collaborato da traduttrice al libro Il dovere della felicità (Baldini & Castoldi). Con l’editore Manni, ha pubblicato nel 2002 la raccolta Il luogo dell’appuntamento (Premio Alghero Donna per la Poesia Edita 2003); e nel 2010, PARTITE. Romanzo in tre movimenti, insignito nel 2011 del Premio Città delle Donne (XII Edizione, Casa delle Donne). Con RP Libri di Rita Pacilio ha pubblicato Melamangiai nel 2018, e Tempo Tecnico nel 2019 (Premio L’Iguana / Anna Maria Ortese, Prata Sannita 2020). Da quest’anno, su invito di Paolo Restuccia, per la rivista e scuola di scrittura StoryGenius, tiene una rubrica di poesia online, #perilversogiusto, in cui presenta settimanalmente poeti italiani e non solo. È docente di ruolo di Lingua e Letteratura Inglese alle Superiori dal 1987. Il mio amico è al momento il suo libro più recente uscito nel 2020 per Manni.

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