La giovane autrice di Sembrava il Sole, l’artista torinese Carola Allemandi, ci fa dono di un’opera poetica di grande maturità e spessore. Da questi testi estremamente brevi ed essenziali trapela un io lirico vigile e accorto, che controlla con attenzione ogni aspetto della scrittura: dalla metrica – il verso mantiene una cadenzata regolarità – alla sintassi, al lessico, al concetto, in un composto, misurato equilibrio. Sono convinta che la buona poesia scaturisca da un felice connubio tra la sfera emotiva e l’intelletto, nel momento in cui questi due livelli dell’essere umano si trovano a viaggiare all’unisono. Così il verso di Allemandi, dall’impatto fortemente mentale, contiene un’impronta emozionale importante, che viene evocata piuttosto che espressa, e risulta mediata dalla notevole padronanza dei mezzi formali. Le figure retoriche di posizione – molto frequente è l’iperbato, ma si incontra anche il chiasmo – sono impiegate in una modalità assolutamente personale ed inedita, al di fuori di ogni manierismo e artificio, in un enunciato straordinariamente denso, del quale non sfugge il labor limae cui viene sottoposta ogni parola. I vocaboli si accordano tra loro in accostamenti desueti, mentre l’endecasillabo scorre scandendo il ritmo ed esaltando la musicalità, con il supporto di rime interne: «…- la pioggia/ scrosciante ti dice lo stesso. Scorgi/ un riflesso opaco riconoscerti/ oltre ciò che vorresti:…». La ricorrenza del sole, elemento centrale fin dal titolo, si snoda in parvenze di luce dai toni impressionistici, richiami al lato fenomenico dell’esistere; il fenomeno è qui indissolubilmente intrecciato al noumeno, perché ogni segno reca il ricordo dell’idea che lo sottende. Non a caso è lo sguardo una delle parole chiave della silloge; sguardo come primaria, alogica forma di comunicazione con il mondo. Il sole è illusione, remoto riverbero. Nel titolo, la grafia in maiuscolo sembra riconducibile, piuttosto che ad una personificazione, ad un’elevazione del livello semantico oltre il dato fisico e sensibile, che ci esorta a spingerci oltre. Evocando abbagli di luce, questa poesia pare infatti incline a scandagliare l’ombra, emblema dell’inconoscibilità del reale; in una antitesi speculare, è l’ombra l’altra grande protagonista, un gioco di chiaroscuri che ricorda la metafora heideggeriana della radura (Lichtung): luogo di rivelazione e nascondimento dell’essere, verità (a-letheia) che il filosofo tedesco pone in stretto rapporto con l’arte. Nell’incontro tra luce e ombra, l’autrice dà vita a suggestive evanescenze, ad immagini impalpabili, flash non perfettamente messi a fuoco, quasi reminiscenze di sogni, o reperti di memoria che affiorano nella loro labile sostanza; sketch rapidi eppure incisivi, la cui forma è conferita dal pensiero, rappresentazioni restituite attraverso il filtro della mente. Siamo, di fatto, di fronte ad una poetica dell’astrazione, dalla quale gli oggetti del quotidiano sono pressoché assenti: solo la casa fa la sua comparsa per tre volte (due volte associata alla veglia, una al sogno). Ma il contesto («Casa, i giorni spenti di febbraio/ crescono sempre e le tue rose sono/ i sogni attorno a un nome che non parla») pare incoraggiare una lettura in chiave simbolico-metafisica, rinvio ad uno spazio che è involucro e ricettacolo dell’esistenza.

Dalla medesima, rarefatta inconsistenza non è esente la dimensione corporea; eppure, per quella bivalenza sempre insita in una poesia aderente al vero, il corpo rivendica di tanto in tanto la propria carnalità, pronunciata con la consueta pacatezza, senza alzare il volume della voce: ecco, allora, che viene sussurrata l’irruenza di colpi inferti, dei nervi che sussultano, l’impeto ansimante dei respiri.
Tale propensione ad astrarre si lega ad una percezione del mondo diversa dall’usuale, che può generare un senso di incomunicabilità. La solitudine è un atto di nascita e di rinascita, è il dolore necessario del lasciar andare parti di sé che si rifrangono in volti incontrati lungo il cammino, sulla linea del tempo che congiunge l’origine al dopo; un tempo reso, a tratti, immobile dal potere dello scatto, dell’istantanea che ferma l’istante, fissando sul foglio bianco quella parola altrimenti destinata a scivolare nel silenzio e nel vuoto; è questa la parvenza di stasi che precede la caduta, il ripristino del moto gravitazionale verso terra: «Nel ballottaggio continuo cadeva/ la salvezza del giorno nuovo, a torto/ creduta immobile, immobile avuta».
Dopotutto, lo sappiamo, la vita non è che lo sguardo su quanto accade. E allora l’io lirico, più che agire, resta, osserva, si arrende all’accadere, al sopraggiungere di un evento figlio del caso o di un miracolo, mai del comune nesso di causalità; non desiste dal meditare sull’inconoscibile, sulla fine, su altri luoghi ed esercizi all’esistenza, a costo di avventurarsi nel perturbante percorso della scoperta di sé.

da Sembrava il Sole (Edizioni Progetto Cultura 2022)

Si confida in un saluto di giorno.
Le strade sono un simbolo, la gente
pure un simbolo – il mondo è altrove,
ci entriamo un’ora come un’altra soli.

*

Capitava che la risposta fosse
il cielo stesso, le ombre che formava
ondulate di noi interi e senza mai
del tutto lasciarsi comprendere.

*

Sperando in una luce da ponente
il tuo viso era presenza libera
di là dall’erba e apparente: a lui solo
s’alzavano insieme le foglie se l’aria
le coglieva; era la storia del vento,
esserci era vederla da lontano.

*

Di tutto hai già immaginato la fine
e nell’attesa la scelta è scomposta
tra superare l’antefatto critico
di chi siamo e svegliarsi sempre sopra
altre terre, appena aperte all’altra
vita: può essere l’ultimo capriccio,
l’analisi suprema, aprire gli occhi
e trovarsi raccolti tra le proprie
stesse mani, riaddormentarsi così.

Carola Allemandi è nata a Torino nel 1997. Dopo il diploma a indirizzo linguistico, scopre la fotografia mentre frequenta il primo anno della Facoltà di Psicologia di Torino. Segue dei corsi fotografici tenuti da Mosè Franchi a Torino e collabora per circa tre anni presso lo Studio Ottaviano, per poi iniziare a lavorare indipendentemente come fotografa e come artista. Nel settembre 2020 pubblica con la casa editrice Teca Edizioni un catalogo fotografico del lavoro “Notturni” con testi di Domenico Maria Papa e Ugo Castagnotto.

Ha esposto in mostre collettive e personali in diverse località dell’Italia settentrionale.

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