Dalla prefazione di Chiara De Luca

[…] Questo non è un libro sulla maternità come ce ne sono tanti. Non vi troviamo la consueta retorica della genitorialità, con tutti i passi indietro che ne conseguono. Questo è un libro corale, in cui il destino di Dunning s’intreccia con quello di tutte le donne, attraverso una galleria di figure femminili ritratte nella loro unicità d’individui differenti, ma uniti dalla sorellanza nel comune percorso per il riconoscimento della loro identità di persone, qualunque siano le scelte di vita effettuate da ciascuna. […] È in una situazione di marginalità e silenzio, di solitudine e abbandono che Dunning si rende tanto più conto di quanto i diritti dei neogenitori, soprattutto della donna in quanto caregiver primaria, siano poco tutelati. È da quando si trovava sola in ospedale durante il lockdown per il Covid-19, in attesa di partorire il suo tanto atteso bebè che inizia questo viaggio nella piena consapevolezza della propria condizione di donna e di madre. Noi lettori condividiamo con Dunning la gioia e la paura dell’attesa del suo bambino, ne salutiamo con stupore l’arrivo, ne ascoltiamo il battito, ne spiamo i primi movimenti, l’osserviamo con apprensione mentre prende lentamente forze giorno dopo giorno nel nido innaturale dell’incubatrice, lontano dalle braccia della madre, sotto i suoi occhi stanchi. Poi li accompagniamo nel loro primo anno insieme, percepiamo la solitudine della madre, chiusa in macchina col piccolo durante il temporale, avvertiamo la meraviglia e la paura della giovane donna, ne viviamo i momenti di sconforto e quelli di estrema gioia. Al contempo conosciamo, oppure ricordiamo, le storie di altre donne che hanno subito violenza da chi avrebbe dovuto stare loro accanto; che sono state variamente vittime della società, di leggi inique e pregiudizi di genere, dell’opinione pubblica o delle forze dell’ordine; che hanno subito vittimizzazione secondaria e body shaming. Tutte piaghe profondamente radicate da secoli nel consorzio civile, dove le donne sono ancora lontane dall’essere libere di disporre del proprio corpo e della propria autonomia senza temere conseguenze, perché le leggi non le tutelano abbastanza, perché la società stessa tende ancora a etichettare le donne in base a ruoli consolidati: Madre e Moglie. Oppure Strega e Puttana. Dunning ci ricorda che la strada da percorrere è ancora lunga, ci mostra come le donne per prime dovrebbero prendersi per mano, cercare di capirsi, proteggersi e aiutarsi a vicenda, piuttosto che criticarsi e giudicarsi, come spesso avviene, facendo il gioco della discriminazione.

Dalla premessa di Mari Ellis Dunning

[…] La mia improvvisa immersione in questo mondo – quello di una caregiver a tempo pieno nel bel mezzo di una pandemia, quando gruppi per bambini, caffè e biblioteche erano fermamente chiusi – mi ha portata a considerare i diritti delle donne a livello globale, in particolare per quanto riguarda i diritti riproduttivi. Quando ho guardato più da vicino, sono stata spaventata, ma non sorpresa, dalla violenza e dal vetriolo che circondano la questione dell’autonomia corporea femminile. Viviamo in un’epoca in cui un candidato presidenziale si vantava sfacciatamente di aggredire sessualmente le donne ed è comunque stato eletto. Ha poi posato con orgoglio per una foto che lo ritrae mentre firma per privare le donne dei diritti sul proprio corpo, tagliando i fondi per l’educazione sessuale e l’accesso a un aborto sicuro e legale. Dalla sua introduzione nel 1984, la Global Gag Rule ha messo a rischio la vita di milioni di donne, in particolare le donne più povere, e, controintuitivamente, ha portato a tassi più elevati di gravidanza accidentale e a un aumento delle procedure di aborto pericolose e mortali. […] Il fatto che, riducendo l’accesso alla contraccezione, la Global Gag Rule alla fine aumenti il numero di aborti, non è solo una sfortunata ironia – rivela il modo in cui i corpi delle donne diventano ripetutamente spazi politici usati a fini di controllo e coercizione. Nella primavera del 2022, poco prima che questa raccolta andasse in stampa, una bozza di giudizio della Corte Suprema filtrata all’esterno suggeriva come i giurati potessero essere pronti a ribaltare la storica sentenza Roe v. Wade, lasciando la decisione sullo status legale dell’aborto interamente ai singoli stati, compromettendo di nuovo la vita di milioni di donne, nel tentativo di controllare e rivendicare la proprietà di tutti i corpi femminili. È tenendo questo a mente che ho scritto molte delle poesie incluse in questa raccolta, tra cui la poesia finale Il grembo parla, che risponde alla Global Gag Rule, e alla paura che circonda un grembo vuoto. Cosa del corpo delle donne spinge lo stato a reprimere, controllare e minare le nostre scelte? È il potere che abbiamo, in quanto donne e persone in grado di partorire, di creare, crescere e nutrire nuova vita? Di sostenere un insieme di cellule dal concepimento alla nascita? È la capacità di occupare lo spazio tra la vita e la morte, la magia quasi soprannaturale di gravidanza e parto, ad accendere la paura in alcuni funzionari governativi e capi di stato? Abbastanza paura da privarci ripetutamente dei nostri diritti alla nostra autonomia corporea. […] Queste questioni – di pregiudizi medici, violenza di genere, misoginia, controllo sui corpi delle donne e sui diritti riproduttivi, l’elogio della castità e della verginità e la nozione di corpi femminili come meri recipienti – sono troppo ampie per affrontarle nella prefazione a una raccolta di poesie, ed è un tema troppo vasto per esplorarlo solo attraverso la poesia, ma questa raccolta, Perla e osso, è il mio punto di partenza.

Da Perla e osso (Edizioni Kolibris 2023), traduzione e cura di Chiara De Luca

Eva

Quando Adamo cominciò a stufarsi
di staccare teste alle margherite,
Dio mi estrasse dal suo fianco,
intagliò la mia vita
da una costola scintillante,
disse, questo dovrebbe tenerti occupato.

È vero, il nostro giardino era una prugna matura,
lussureggiante come una ghirlanda che si allarga,
punteggiato di rose, vasto come un oceano,
ma possono stancarsi anche le donne.

Mi piaceva il piccolo brivido
serpeggiante, che strisciava lungo
e sciolto come una costellazione di perle,
il modo in cui ramificava il corpo
a corda di velluto, il suo fiato dolce-fico,
la sua voce di miele speziato. Mi piaceva
la gloriosa minaccia di zanne.

Prova il frutto, disse, attorcigliandosi,
languido, sulla spina dorsale increspata dell’albero.

La mela era una luna di sangue
nel mio palmo, un granato estratto come un bulbo
dalla terra. Il suo succo mi filtrò
dolce tra le labbra, mi svolse
un computo sul mento.
Un fulmine colpì il cielo.

Quando Dio ci esiliò, sbattendo
i cancelli con rumore assordante,
Adamo mi cercò a tentoni il pugno,
mi gemette come un segugio al fianco,
congiunse i palmi, e io
diedi
un altro
morso.

Eve

When Adam grew bored
of plucking heads from daisies,
God pulled me from his side,
whittled my waist
from a glinting rib,
said, this should keep you busy.

It’s true, our garden was plum-ripe,
lush as a sprawling wreath,
rose-flecked, ocean vast,
but women can grow weary, too.

I liked the small serpentine
thrill, slithering long
and loose as a constellation of pearls,
the way he branched his body
like velvet rope, his fig-sweet breath,
his voice of spiced honey. I liked
the glorious threat of fangs.

Try the fruit, he said, coiling,
languid, at the tree’s ridged spine.

The apple was a blood moon
in my palm, a garnet scrabbled like a bulb
from the earth. Its juice seeped
sweet from my lips, rolled
a reckoning over my chin.
A thunderbolt struck the sky.

When God exiled us, clattering
the gates to a deafening close,
Adam fumbled for my fist,
whimpered like a hound at my side,
coupled his palms, and I
took
another
bite.

 

Camminando sotto la pioggia

Al tuo arrivo, ho smesso di badare
alla pioggia, ho imparato a goderne

il tocco fresco come di lenzuola
appena lavate sulla mia guancia.

Ci siamo trascinati per miglia infinite, tu
legato al mio petto, uno scimpanzé

che mostrava il pugno, con un braccio
ciondoloni. Il cane legato al mio polso.

Che altro c’era da fare
in un mondo leccato da sale

e vento, chiuso
come una bocca cocciuta.

Al tuo arrivo, ho visto la pioggia
per quello che era – migliaia di piccoli

baci sulla mia tempia. Un battesimo
negli slang.

On Walking in the Rain

When you came, I stopped
minding the rain, learned to enjoy

its cool touch like freshly
laundered sheets on my cheek.

We trailed endless miles, you
bound to my chest, a chimp

flexing your fist, one arm tumbling
loose. The dog strapped to my wrist.

What else was there to do
in a world licked clean by salt

and wind, shut
as a stubborn mouth.

When you came, I saw the rain
for what it was – a thousand small

kisses at my temple. A baptism
amongst the slangs.

 

Poesia per Sarah Everard

Stasera, non ha paura di camminare
in queste strade da sola, ne conosce i contorni

come le valli del proprio corpo. Vicoli
e canali familiari come vecchi amanti.

Le luci le uncinano gli zigomi.
Stelle scoppiettano.

Lui si avvicina, coi palmi tesi,
giurando solo di servire. Di proteggere.

Ecco. È così che finisce,
le sue ossa ridotte in polvere,

deposte come un coleottero a terra.
La voce appassisce nella sua presa.

Lei non può sapere come il suo nome
echeggerà nelle bocche di estranei.

Come crescerà, come una margherita,
arrampicandosi, implacabile, attraverso il suolo.

 

Poesia per Sarah Everard: nel 2021, mentre rincasava a piedi di notte, Sarah Everard fu rapita, violentata e uccisa da un agente di polizia in servizio. Mentre il suo caso ha ricevuto un’ampia copertura mediatica, questo abuso di potere e autorità da parte degli ufficiali in servizio non è un caso isolato. Tra il 2017 e il 2021, quasi 2.000 agenti di polizia, agenti speciali e PCSO1 nel Regno Unito sono stati accusati di una qualche forma di cattiva condotta sessuale. [Fonte: Canale 4 Dispatches Cops on Trial, 11 ottobre 2021].

 

Poem for Sarah Everard

Tonight, she is not afraid to walk
these streets alone, knows their contours

like the valleys of her own body. Alleys
and gulleys familiar as old lovers.

The lights hook her cheekbones.
Stars sputter.

He approaches, palms outstretched,
vowing only to serve. To protect.

So this. This is how it ends,
her bones split to dust,

ground like a beetle to the earth.
Voice wilting in his grip.

She cannot know how her name
will echo in the mouths of strangers.

How it will grow, like a daisy,
clawing back, relentless, through the soil.

 

Il ventre parla

Facciamo finta, se volete, che si trattasse sempre di
bambini,
i loro cuori semi-formati, le loro grida mute. Ditelo di
nuovo. Scrivetelo
sui vostri cartelli: vi sentiamo. La sua penna noncurante
scrive il suo nome
come quello di un dio, sigilla il mio destino in bianco
e nero.

Ecco la verità – Fui scolpito per crescere, arrotondarmi
come una zucca. Portare la vita come due palmi l’acqua.
Liberarla con impulso sismico. Per farlo e rifarlo.

So cosa temete – l’idea di me vuoto. Riluttante. Stretto
come un pugno e pronto a colpire, un serpente arrotolato
in uno sfrigolio.
Immaginate il mio valore ora in cicli di nove mesi,
guardatemi ondeggiare
e fiorire. Guardatemi gonfiarmi come una rossa ferita
calda al suo comando.

Credetemi
Indosserò queste cicatrici come gioielli, estratti caldi
dalla terra.
Sanguinerò e goccerò. Incatenate quello che temete: il
minotauro
che misura il suo labirinto. L’orso del circo che suda stracci
dietro le sbarre.
Questo ventre vuoto. Il suo potere assordante.

 

Il ventre parla: riferimento a The Global Gag Rule. Nel gennaio 2017, l’amministrazione statunitense, allora appena nominata, reintrodusse una politica repubblicana che bloccava i finanziamenti governativi alle organizzazioni non statunitensi che praticano l’aborto con i propri fondi. Sin dalla sua introduzione, The Global Gag Rule ha messo a rischio la vita di milioni di donne.

 

The Womb Speaks

Let’s pretend, if you like, that it was always about the
children,
their half-formed hearts, their muted cries. Say it again.
Write it
on your placards: we hear you. His careless pen inks his name
like a God’s, seals my fate in black and white.

The truth is this – I was sculpted to grow, stretching round
as a pumpkin. To carry life like two palms cupping water.
To purge it with a seismic surge. To do it again and again.

I know what you fear – the notion of me empty. Unwilling.
Scrunched as a fist and poised to strike, a snake coiled
to a sizzle.
Picture my worth now in nine-month cycles, watch me
billow
and bloom. Watch me swell like a red hot wound at his
command.

Believe me
I will wear these scars like jewels, mined hot from the earth.
I will bleed and leak. You shackle what you fear: the
minotaur
pacing its maze. The circus bear sweating rags behind bars.
This vacant womb. Its deafening power.

 

La prima raccolta di poesie di Mari Ellis Dunning, Salacia, è stata selezionata per il Wales Book of the Year Award, ed è stata seguita da The Wrong Side of the Looking Glass [Il lato sbagliato dello specchio] un pamphlet di monologhi drammatici scritti in collaborazione con Natalie Ann Holborow. Ha vinto il Terry Hetherington Young Writers Award e si è classificata seconda sia nella Lucent Dreaming Short Story Competition che nel Sylvia Plath Poetry Prize. Dottoranda presso l’Università di Aberystwyth, lavora su un romanzo storico che esplora le accuse di stregoneria e fertilità, e insegna part-time scrittura creativa. Vive sulla costa occidentale del Galles, a Llanon, con suo marito, i loro due figli e il loro cane.

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