Particolare dell’immagine di copertina

Dall’introduzione di Francesco Crosato

Dopo le prime due prove poetiche che ci lasciarono – Fioriture, in particolare – piacevolmente colpiti, Violante Vibora ci regala queste liriche travolgenti per originalità e forza d’ispirazione, formalmente ineccepibili. Avvicinandoci al cuore dell’opera, scopriamo la poetessa bambina che, scesa alla fermata sbagliata / confusa da una scintilla di luce, è come un germoglio, è tutta un sentire e cerca di sopravvivere rannicchiandosi in se stessa, scrutando la realtà come da un pertugio; si sente invasa, attraversata da galassie che le esplodono dentro, non sorride, non parla, disegna soltanto (ben misera cosa per il mondo) […]. Questa strana bambina sembra conservare in sé traccia di quando, nella notte dei tempi, “sentivamo” all’unisono con gli animali e le piante, parlavamo con essi, ci percepivamo un tutt’uno con quella che avremmo chiamato Natura. Quale allora il suo messaggio? Forse che, passando da un piano del “sentire” a uno via via più logico e razionale (sia come genere umano che come singole persone), grazie al sedimentarsi di una sempre più definita coscienza, non dobbiamo però, scordare da dove veniamo, rimuovere lo stadio precedente: nessun brusco e annullante “salto”. […]

da Quaderni dell’amore e del pericolo (Ronzani Editore 2021)

Si seppe da subito, bastava guardare la mia natività
la bufera, il soffio indicibile
le saette oltre le piccole finestre
l’alba fredda che bussava alla porticina
i tremiti dei rami
la lingua turpe della zingara
che mi raccolse tra le cosce di mia madre
l’esultanza che strinse il suo cuore
ecco, ero una rosa canina perfetta
e il mio odore era vivo e celeste
riempiva prepotente le strade cattive, sì
si seppe e si disse da subito
che avrei vissuto poveramente
come una regina, e non mi sarei fatta mancare niente.

*

Chiedere aiuto alla luna, chiedere amore materno
avevo 5 anni, avevo un berretto di pelliccia bianca
che si annodava sotto alla gola, trasformandomi
la faccia in lunetta, in mandorlina di latte galleggiante
ma incapace
non riuscivo a chiudere quel semplice laccio
dipendevo dai gesti di lei
profumati di Cera di Cupra e lana
chiudimi per bene sotto alla gola
che devo stare calda per uscire al mondo
nasco sempre ogni giorno
ogni giorno incontro alla luce
chiudimi sotto alla gola e
accarezzami il piccolo mento
c’è una fossetta della misura del tuo polpastrello
è tuo, è il tuo sigillo, chiudi, sigilla, sfiora la stellina
partorita dalla luna, madre spavalda, morbido
corpo azzurro, alta nave indimenticabile.

*

Devo scrivere un messaggio importante
da molti anni provo a farlo
in piena notte, dentro a una barca invisibile
ho provato a scriverlo pensando ad altro
arrampicandomi sull’albero, con una freccia
conficcata nella schiena per sentire dolore
mi sembrava una ferita, l’eco, un rintocco
devo scriverlo, devo scriverlo, deve uscire
ho le dita nere dallo sforzo, come un latte
che si versa e trabocca e sporca
è importante, e questa è la prima parola.

*

Vorrei dire alla maniera di chi fa male
ma il male si rivolta, si sente
con un raschio, un peso sulle corde vocali
non più risonanti all’incanto
e tanto accresce quel peso
anche la minuta distrazione di chi non sa
anche assistere alla crudezza delle feste degli altri
tutto l’essere divenuto corda d’arpa nuova
sensibile e in attesa di un suono che lo richiami
di un tocco qualsiasi, che prema un po’ meno.

*

Non è facile scordare
la bambina che non sorride
nonostante sia vestita di chiaro
tra l’erba semplice
una goccia di luce
sul carro di fuoco del sole
nonostante si senta pulita, i capelli raccolti
nella coda di cavallo biondo
nonostante l’erba sia in fiore con lei
non facile sapere cosa c’era oltre
l’aiuola dei gladioli e le foglie
oltre l’assolato piccolo prato
la rete azzurra delle linfe
la fila di formiche fulve e brune e ladre
il mondo forato (non avere paura)
se dai quei fori escono insetti oscuri
farfalle e grilli turpi, orchi muti
non aver paura o abbine, per salvarti la vita
come suggerisce il padre
trasformare il problema in cavalletta, in rondine
in vento migrante
non facile vivere d’amore, dare acqua
all’esserino rintanato e indocile
acquetta evaporata che ritorna
come dura nube nel temporale.

 

 

Violante Vibora è nata nel 1962 a Treviso, dove tuttora risiede. Dopo gli studi d’arte ha lavorato a lungo nell’artigianato come creatrice di ricami per maglieria, dedicandosi nel contempo alla scrittura. Tra le sue pubblicazioni: le raccolte di poesie Lo sciamano ha i piedi nudi (2015) e Fioriture (La Vita Felice 2018). Suoi testi sono apparsi su giornali e riviste. Nel 2016 partecipa a Poster nel contesto di “CartaCarbone Festival Letterario” di Treviso con un progetto di 90 poesie-tarocchi e nel 2017 al “Poetry Selvaggio” dedicato ad Alda Merini.

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