Mi viene in mente subito la famosa lirica di Arrigo Boito, Dualismo, iniziando a parlare di questo Zebù bambino di Davide Cortese, Terra d’ulivi edizioni, collana Deserti luoghi, diretta da Giovanni Ibello, e mi viene in mente perché c’è tanto di quello spirito scapigliato (leggasi antisistemico, barbaro e in qualche modo incendiario) nel testo di Cortese.

L’autore lo conosciamo bene ed era già arrivato a ottimi livelli sia con Anuda sia con Darkana, ma qui Cortese ci consegna una prova di grande maturità. Il testo rappresenta una sorta di tableau vivant dell’infanzia del diavolo, proprio quel caduto chèrubo / dannato a errar sul mondo descritto da Boito che però qui viene visto, quasi come Cristo negli scritti apocrifi, nella sua infanzia sulla Terra. Un’infanzia passata a “giocare ai dadi con le bambole”, fino a rosicchiarne il seno di plastica con i denti, provandoli, come un cucciolo di cane o di coyote.

Un verbo particolarmente utilizzato nella raccolta è fingere, la finzione, la simulazione, il gioco, le caratteristiche appunto del bambino che si prova. Per questo Zebù attraversa la gamma delle esperienze fanciullesche: mozza la testa alle bambole, mangia gli scarafaggi, sporca i calzini, insomma esperisce tutte quelle monellerie del bambino/tiranno che per provare il mondo uccide e distrugge, sempre “simulando” l’uomo che sarà.

Non si può non intravvedere, nella costruzione di questo bel personaggio, l’esperienza di Cortese come mastro della primaria. Questo emerge dalla grana degli insulti che il bambino rivolge ai compagni, calchi, di sicuro, tratti dalla vita dell’autore: “Sei una schiappa”, “Sei grasso”, “Sei brutto”, in un crescendo continuo fatto di contrari: “Le mani che di giorno hanno picchiato / al buio le giunge in preghiera”.

Scoccano insieme
la mezzanotte e il mezzogiorno.
È l’ora di un eterno crepuscolo.
Due miei volti si specchiano
nelle ginocchia sbucciate
del demone bambino.

 

 

Le mani che di giorno hanno picchiato
al buio le giunge in preghiera.
Zebù bambino si finge pio.
A cavalli di vetro soffiato
stringe la fragile criniera.
Gioca ai funerali di dio.

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