Foto di Elia Leblanc

 

Limpidi, feriti e spesso maestri, dispiegati in una delle sequenze più notevoli della poesia di oggi, i testi di Daniel Calabrese sono, prima di tutto, un trionfo della poesia intesa non come arte delle parole bensì di quello che le parole non hanno mai potuto dirci. Con un linguaggio contenuto, preciso, di una bellezza che non cede mai all’ostentazione, conferma che la sua opera è tra le più rilevanti: una dimostrazione della potenza e della originalità della poesia latinoamericana dei nostri tempi, della sua impressionante capacità di rinnovarsi, della sua solennità dolorosa e possente.
RAÚL ZURITA

Una poesia fatta di stupore. Si spiega così la sua originalità che poggia su una robusta base metafisica, una sequenza di concetti e una scenografia onirica di ampie fasce visuali per configurare una espressione che scivola senza sforzo verso altri linguaggi. Se la poesia è un connubio tra l’enigma e la realtà, quella di Daniel Calabrese spicca notevolmente nella mappa poetica degli ultimi decenni, percuotendo lì dove la pietra si scontra due volte con la stessa vita.
JORGE BOCCANERA

Ci parli della tua visione del tempo e della sua rielaborazione nella tua poesia?

Sono consapevole che tutta la mia opera è attraversata dal tempo e dalle sue grandi allegorie: il viaggio, la strada, la corrosione, ecc. Ma da quel celebre frammento di Eraclito, il fiume è la grande metafora del passaggio del tempo per la civiltà occidentale e si può trovare dagli scritti classici fino a quello che scrivono oggi i giovani, se osserviamo cosa avviene su internet. È una metafora di metafore la cui ricorrenza riafferma sé stessa: il flusso rimane in costante trasformazione. Nessuno entra due volte nello stesso fiume: l’acqua non è più la stessa, e nemmeno noi siamo gli stessi. E questa non è soltanto una riflessione sulla mutevolezza della materia, come è stato detto, ma un altro modo di concepire l’eternità: il permanente composto dall’effimero, in costante divenire. Quindi potremmo dire che siamo passeggeri ma siamo anche il viaggio stesso. E che quel viaggio è interno ed esterno allo stesso tempo.
È la relatività che ha quella misura che chiamiamo tempo. La memoria, involontariamente selettiva, fa sì che alcune esperienze siano fortemente ancorate al nostro presente continuo (che è un’altra nozione di eternità). Mentre avanziamo nella vita con alcuni ricordi, altri li cancelliamo o li seppelliamo in modo che possano riaffiorare solo in circostanze speciali, ancora una volta fuori dal nostro controllo.
Ad esempio, ripercorrere con la mente l’infanzia è una sfida. Lì si trovano i depositi della memoria più oscura e ci si chiede come illuminarla. Io ho il ricordo di essere cresciuto a Dolores, una piccola città sulla riva di una lunga strada. Tutto ciò che entrava o usciva doveva passare per quella strada. Eravamo nel mezzo di qualcosa, e vedere percorrere quella strada era come osservare il trascorrere del tempo. In qualche modo, la Strada Due (Ruta Dos) era il nostro fiume.
La prodigiosa memoria di tutto ciò che è scritto ci permette di inoltrarci in questo cammino illusorio all’indietro, mentre l’immaginazione ci incoraggia a camminare in avanti. Tuttavia, non conosciamo nulla del futuro e ricordiamo solo alcune cose distorte del passato. Possiamo soltanto vivere in questo presente. Così, quando guardo nelle due direzioni, mi sento abbastanza piccolo da ammirare l’idea dell’infinito e dell’assenza di tempo.
Mi è sempre interessato vedere la poesia come un’altra dimensione del pensiero, elaborata attraverso l’espansione della coscienza grazie alla quale riusciamo a concepire idee come quella spazio-tempo, senza bisogno di ricorrere alla scienza o a modelli matematici.
Credo che la sensibilità che origina la poesia venga prima della letteratura. E in una visione mistica, cercando di elevarci al di sopra del pensiero dicotomico, la poesia come ulteriore dimensione del pensiero supera quella dialettica tra apparenti opposti. I maestri iniziati, quando spiegano il principio della polarità, che è uno dei principi ermetici, di solito portano come esempio il freddo e il calore, che sarebbero apparentemente opposti e tuttavia vibrano sulla stessa corda. Sono espressioni di un concetto più elevato che li contiene: il senso superiore è la temperatura. E così potremmo fare innumerevoli esempi, fisici o astratti.
Non sono un autore che prende la scrittura come una professione tra tante. A questo proposito, è bene distinguere la Poesia dalle poesie. Le poesie sono costruzioni linguistiche che esprimono la Poesia, e la Poesia richiede lavoro letterario. Aristotele diceva già che molte poesie non contenevano Poesia e che, allo stesso tempo, la poesia poteva essere trovata in testi che non erano scritti in forma di poesie. Un’idea poetica può richiedere molto tempo per maturare, prima di essere scritta. Quindi mi chiedo quando inizia davvero la scrittura di una poesia: nel momento in cui l’ho pensata o quando mi sono seduto a scriverla? Altre volte mi appare spontaneamente e la scrivo in pochi minuti. Faccio parte di coloro che pensano che la Poesia abbia i suoi ritmi per manifestarsi e che non sia possibile controllare questo processo.

Il femminile acquisisce funzioni molteplici nei tuoi testi. “Fonderebbe Roma./ Fonderebbe Ninive nella Mesopotamia/ che racchiudono le sue gambe./ Lei e un’eclissi/che oscurerà la sua schiena/ da un momento all’altro”. Ci parli di questa presenza costante e misteriosa, tra il mito e l’epica?

“Lei” è la presenza del femminile che si può trovare in tutta la mia opera. Appare senza nome proprio perché è un principio, in senso spirituale, che percepisco piuttosto lontano dalla figura femminile della mitologia epica, dagli archetipi letterari classici o dalla musa del romanticismo, perché non è oggetto di ispirazione né di invocazione (anche se ovviamente può contenere tratti di ciascuna), e condensa la mia personale visione del femminile, probabilmente perché nel corso della mia vita le persone a me più vicine più importanti e più sagge sono state tutte donne. Per questo hai notato, come ben dici, una presenza “costante e misteriosa” che “assume molteplici funzioni”. Il principio del femminile non mi sembra esattamente come viene descritto nello Yin in Oriente, ma è ovvio che contenga anche una possibile metafora dell’equilibrio.
Confesso che, nonostante lo sforzo che si può notare in questa intervista, mi annovero tra quegli autori che spesso non riescono a spiegare il significato dei propri versi e molte volte, quando qualcuno li interpreta, sono sorpreso. È stato detto che il senso finale della poesia proviene da immagini archetipiche che trasmettono un’altra forma di conoscenza, diversa da quella scientifica e filosofica, per mezzo di intuizioni che vanno oltre l’esperienza dei sensi. Ma i poeti, quando riflettono sulla propria poesia, spesso lo fanno con approcci imprecisi che sembrano persino sofismi (con questa libertà che abbiamo, davanti alla filosofia o davanti alla scienza, di essere esenti dall’obbligo di dimostrare una verità o la corrispondenza tra un modello matematico e ciò che affermiamo) …
Personalmente, preferirei che alcuni misteri non venissero risolti.

Ci definisci il ruolo della divinità nella tua poesia? Che opinione hai della poesia religiosa nel tuo Paese?

A questo punto voglio e devo sottolineare il nome di un autore argentino, che ammiro e riconosco come influenza: Hector Viel Temperley (1933-1987). Ogni tanto torno ai suoi libri. Viel sviluppò la sua opera in un contesto dominato da certe categorie della critica che lo invisibilizzarono in vita; tuttavia, dopo alcuni anni dalla sua morte, occupò un posto privilegiato nella critica poetica argentina e attualmente è un autore di culto. La sua opera è caratterizzata dall’approccio personalissimo a certi temi del cristianesimo, con un contenuto mistico e religioso molto difficile da accettare ai suoi tempi. Ospedale Britannico, con il suo Christus Pantokrator, è uno dei libri più strani e geniali della poesia argentina. Esiste una traduzione in italiano di Edoardo Balletta, con prefazione di Hugo Mujica, pubblicata dalla casa editrice Raffaelli. Conosco questo dato perché recentemente mi è stato chiesto quali libri della poesia argentina del XX secolo valesse la pena tradurre per i lettori italiani e, senza esitazione, ho menzionato Ospedale Britannico che, però, era già stato tradotto: ciò mi ha reso molto contento. Conosco Hugo Mujica, che lo prologa, lui stesso è sacerdote dell’ordine dei Trappisti e riconosciuto poeta… Di tanto in tanto, molti autori della letteratura argentina si sono avventurati in testi di ispirazione religiosa, ma nessuno mi ha mai colpito tanto quanto Viel Temperley, di cui sono più attratto dal suo rapporto individuale con la divinità, cioè la sua estetica a partire dal mistico, più che dal religioso.
Tendo a ritenere che tutta la poesia sia mistica. Attribuisco alla poesia, letta o scritta, la capacità di suscitare stati elevati di coscienza che ci permettono una comprensione più ampia della realtà, quel sentiero che molti hanno provato a percorrere con certe tecniche di meditazione e perfino con la sperimentazione di allucinogeni.
Da Platone a Borges, si è sospettato che la creazione poetica porti sulla terra una conoscenza spirituale o una verità superiore e che i poeti siano semplici amanuensi di quelle voci ignote. Ma questo non significa che si debbano considerare i poeti come “iniziati” in sapienza ermetica, perché ciò richiede una certa lucidità sull’opera e un finalismo che, nella maggior parte, si dà a livello inconscio.
La nostra percezione del reale attraverso i sensi è molto limitata perché abbiamo una “strumentazione” parecchio rustica (come faceva notare Ouspensky nel Tertivm Organum, a partire da Kant). Per ampliare questa percezione, la scienza ricorre alle nuove tecnologie, alla proiezione di modelli matematici e recentemente all’intelligenza artificiale.
Ma i poeti non sono mistici, né filosofi né scienziati, anche se può accadere che svolgano tali ruoli. Di solito, quando cerchiamo di uscire dal carcere del tempo lineare, con i suoi concetti di inizio e di progressione, o cerchiamo di liberarci dalla visione opposta, cioè quella del tempo circolare, che era la più accettata nelle società antiche, non ci rimane che un’illusione confusa della realtà.
L’ho affrontata nel poema “Il punto fisso” (p.153): “Si addentrarono prima di noi/ nella vita delle parole/ cercando l’origine, la fine,/ la causa e l’oggetto./ Ma ritornarono ciechi.// Di modo che se trovarono la verità/ solo poterono comunicare il dubbio”. Non è compito della poesia rivelarci una verità; quindi, se a volte ci fa più saggi leggere la poesia, anche questo fa parte della sua natura inspiegabile.
Bisogna dotare l’illusione di una quota di realtà, perché si renda possibile una metafisica dell’illusione. E in quella frangia crescerà la poesia.

Com’è la situazione dell’editoria di poesia in Argentina e in Cile? Come viene recepita la poesia italiana da voi?

È sempre stata una sfida per gli editori scommettere su un genere come la poesia che, salvo poche eccezioni, non riceve interesse commerciale. Per questo motivo ha spesso bisogno di aiuti di Stato, e questi sono rari nei paesi dell’America latina in via di sviluppo, poiché le sue politiche miopi antepongono altre priorità.
Il libro ha questa duplice condizione: da un lato è un prodotto commerciale come qualsiasi altro, con il suo prezzo, il suo codice a barre e i suoi problemi di distribuzione; e dall’altro è anche un oggetto culturale, il cui contenuto non si conosce fino a quando qualcuno non decide di leggerlo.
Nel caso della poesia, a partire dalla massificazione di Internet, ci sono state una fioritura e una diffusione mai viste. Prima era molto difficile che un libro di poesia stampata oltrepassasse le frontiere, proprio per questo scarso interesse commerciale; allora pochissimi autori avevano la possibilità di essere letti in altri paesi e in altre lingue. Ora sono proliferate centinaia di riviste elettroniche che raccolgono l’opera di poeti attuali e di altri che di cui non si era mai parlato prima, a cui possiamo accedere senza muoverci dalle nostre case.
La poesia italiana non fa eccezione. Prima, con una certa fortuna, potevamo solo leggere i suoi classici più riconosciuti, ma ora moltissimi autori –non dico i suoi libri ma campioni significativi– ci arrivano in forma elettronica e gratuita.
Internet ha abbattuto i muri del canone. Questo è il vantaggio ma, naturalmente, anche ha il suo lato oscuro: è vero che le barriere di accesso per la diffusione e la lettura di poesie sono calate grazie a Internet, ma con ciò ha permesso la prolificazione di iniziative di “traduttori veloci”, che non sono nativi delle lingue di destinazione e usano come supporto traduttivo l’intelligenza artificiale. In definitiva, correggono solo ciò che il computer mette in risalto rapidamente e, di conseguenza, spesso confermano quella frase famosa che dice: “traduttore, traditore”.
In quanto a me, anche se chiaramente non sono un lettore madrelingua, il mio approccio alla lingua italiana mi ha permesso di leggere e ammirare molte voci contemporanee dall’Italia, dal Sud al Nord, e sento che in questo paese la poesia gode di tradizione e buona salute. Recentemente, nell’annuario numero 16 di Ærea. Revista Hispanoamericana de Poesía che dirigo, pubblichiamo una selezione di poesie scritte da donne italiane del XX secolo, con traduzione del grande ispanico Emilio Coco, un dossier che occupa ben 50 pagine dell’intera edizione.

 

Strada uno, fiat lux!

Vicolo Fontana.
Sopra dice «i tuoi sogni»
(al di sotto di «fragile»).
Una donna piccola sta guardando
le foglie cadute da un salice,
ammucchiate,
che ballano per lei.

Lavora tanto l’amore che qualche volta
colpisce nel segno, pensa.
Porta un mazzo di garofani,
appena si muove, la vita la sfiora.

Altri sono morti, lei no.
Ancora no.

Alcuni agitano la vita come se passasse un treno.
Per quelli fu necessaria una morte maggiore
di quella abituale.

Per altri, invece,
basta una morte, fine, tenue,
appena più intensa dell’oblio.

Più in alto dice fiat lux.
La donna piccola guarda la sua mano sinistra,
controlla l’orologio della cappella dell’entrata
lascia il mazzo, abbassa la vista,
e si allontana guardandosi i piedi.

Calle uno, fiat lux

Callejón Fontana.
Arriba dice «tus sueños»
(debajo de «frágil»).
Una mujer pequeña está mirando
las hojas caídas de un sauce,
arremolinadas,
que bailan para ella.

Tanto trabaja el amor que algunas veces
da en el blanco, piensa.
Lleva un atado de claveles,
apenas se mueve, la vida la roza.

Otros murieron, ella no.
Todavía no.

Algunos agitan la vida como si pasara un tren.
Para esos fue necesaria más muerte
que la de costumbre.

Para otros, en cambio,
basta con una muerte fina, tenue,
apenas más intensa que el olvido.

Más arriba dice fiat lux.
La mujer pequeña mira su mano izquierda,
controla el reloj del panteón de la entrada
deja el ramo, baja la vista,
y se aleja mirándose los pies.

 

Posizione

Sono il cameriere che mi serve,
il tipo che bada alla mia macchina,
la vecchia che mi lava gli indumenti.
E tutti i giorni, un poco,
quegli occhi che mi guardano da lontano.

Sono il capo vittorioso,
colui che ordina la mia vita e i suoi bisogni,
ma sono anche un cane modesto
che si aggira per la piazza
e a volte il carceriere che ha l’aureola
molto piccola, incollata alla testa.

In genere, sono tutti questi
quando ho gli occhi chiusi.

Posición

Soy el mozo que me atiende,
el tipo que me cuida el auto,
la vieja que lava mi ropa.
Y todos los días, un poco,
aquellos ojos que me miran desde lejos.

Soy el jefe victorioso,
ese que ordena mi vida y sus necesidades,
pero soy también un perro modesto
que merodea por la plaza
y a veces el carcelero que tiene el aura
muy chica, pegada a su cabeza.

En general, soy todos ellos
cuando tengo los ojos cerrados.

 

Fiume di coltelli

Ti voglio raccontare un segreto, amico mio:
molti anni fa, negli anni dell’ossido,
mi insegnarono a odiare i tuoi paesi.
O così mi sembrò.

Io non sapevo che sorta di amore fosse l’odio.

La ruggine del porto ti accecava gli occhi,
lì dove si intrecciano i fiumi cileni
con le navi sudamericane.

I militari argentini portavano
coltelli morti, di quelli che nuotano
nel plasma scuro delle arterie
come pesci smussati.

Quello che non scorre è un fiume,
pensai che dicessero in quelle pianure noiose.
O così mi sembrò.
E mi massacravano di calci per colpa dei tuoi paesi.
Provai schifo, ti dico, qualche specie di schifo.

Tu scrivevi come i fiumi
che scendono dalla cordigliera verso i salti
e si portarono via a poco a poco il colore delle colline.

I militari cileni venivano
con superdosi di una terra confusa
perché quelle montagne si muovono, amico,
e la gente ha la sensazione che muoversi
sia una tradizione dell’acqua.

Allora i fiumi, la lingua
della terra quando parla al mare,
cominciarono a scorrere nelle nostre vene.
Erano fiumi circolari e rossi
come le frontiere di due paesi
che girano e si sfregano,
ferite a forma di Cile,
macchie di umidità che sembrano isole
su una mappa argentina.
Correvano e correvano i sedimenti
di quella memoria che brucia
e ci brucia la pelle
quando adottiamo la forma dei potenti.

Solamente quei fiumi possono scorrere
senza che li insegua una milizia di ombre
e molti animali credono che siano demoni,
anch’essi hanno l’abitudine
di starti alle calcagna.

Ti dico che nessuno ci amava
e il disamore, amico,
fa prosciugare i fiumi da ogni parte. […]

Río de cuchillos

Te voy a contar un secreto, amigo mío:
hace muchos años, en los años del óxido,
me enseñaron a odiar tus países.
O me pareció.

Yo no sabía qué clase de amor era el odio.

La herrumbre del puerto cegaba tus ojos,
ahí donde se enredan los ríos chilenos
con los barcos sudamericanos.

Los milicos argentinos traían
cuchillos muertos, de esos que nadan
en el plasma oscuro de las arterias
como peces desafilados.

El que no corre es un río,
pensé que decían en esas llanuras tediosas.
O me pareció.
Y me molían a patadas por culpa de tus países.
Sentí asco, te digo, alguna especie de asco.

Vos escribías como los ríos
que bajan de la cordillera a los saltos
y se llevan de a poco el color de los cerros.

Los milicos chilenos venían
con sobredosis de una tierra confusa
porque esas montañas se mueven, amigo,
y la gente presiente que moverse
es una tradición del agua.

Entonces los ríos, el idioma
de la tierra cuando le habla al mar,
empezaron a correr por nuestras venas.
Eran ríos circulares y rojos
como las fronteras de dos países
que giran y se friccionan,
heridas con la forma de Chile,
manchas de humedad que parecen islas
en un mapa argentino.

Corrían y corrían los sedimentos
de aquella memoria que arde
y nos quema la piel
cuando adoptamos la forma de los poderosos.

Solamente esos ríos pueden correr
sin que los persiga una milicia de sombras
y muchos animales creen que son demonios,
ellos también tienen la costumbre
de pisarte los talones.

Te digo que nadie nos quería
y el desamor, amigo,
hace desaguar a los ríos en cualquier parte. […]

 

Daniel Calabrese è un poeta argentino di origine italiana. Ha ottenuto con il suo primo libro, La faz errante, il Premio Alfonsina Storni. A esso sono seguiti: Futura ceniza (1994), Escritura en un ladrillo (1996), Singladuras (1997), Oxidario (Premio del Fondo Nazionale delle Arti, 2001) e Ruta Dos (2013 e 2017), a cui fu assegnato il Premio Rivista di Libri in Cile e che fu pubblicato nella prestigiosa collana Visor di Madrid con una prefazione di Raúl Zurita. La traduzione italiana è stata finalista tra le migliori opere straniere al Premio internazionale Camaiore. Il suo libro più recente è Ritmo d’Atessa (2022) che ha ottenuto il sostegno del Programma di Traduzioni dello Stato Argentino per essere pubblicato in Italia. La casa editrice La Vita Felice di Milano ha pubblicato quest’anno Un cielo per le cose (2022), tradotto da Emilio Coco. È stato incluso ne Il fiore della poesia latinoamericana d’oggi (2016, Raffaelli Editore) e nell’Antologia della poesia latinoamericana d’oggi (2022, Di Felice Edizioni). Sono stati pubblicati suoi libri di poesia in più di dieci Paesi e una parte della sua opera è stata tradotta in italiano, inglese, francese, portoghese, bulgaro, cinese e giapponese. È il fondatore e il direttore di Ærea. Revista Hispanoamericana de Poesía, ed è membro del Consiglio Internazionale della Fondazione Vicente Huidobro.

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