La raccolta Pixels (Red Moon Press 2021) di Simone Pansolin è costituita da settanta poesie haiku in forma libera in lingua italiana e tradotte in inglese dal poeta di haiku amaricano Jim Kacian. Ciascun componimento presente concorre a formare un’istantanea del mondo odierno e dell’attuale umano pensiero nelle sue molteplici sfaccettature, incarnando in pieno la caratteristica connotazione della poesia haiku come poesia dell’immagine. Da qui, non a caso, il titolo dell’opera: Pixels, ossia l’unità minima convenzionale della superficie di un’immagine, come a voler esprimere un’intenzionalità di pulizia e nitore delle immagini presenti nei componimenti; la qual cosa, in effetti, trova puntuale riscontro nei versi dell’autore:

primi passi –
un bambino incontra
la propria ombra

first steps –
a child meets
his shadow

Le poesie contenute nella raccolta esulano dalle caratteristiche formali dello haiku classico giapponese: non sono presenti kigo o altre forme di riferimento stagionale (per esempio il kidai); non è previsto il rigido rispetto dello schema metrico di 5/7/5 sillabe nei rispettivi tre versi; il dato naturalistico non è considerato come principio indispensabile e neppure è presente il sentimentalismo tipico dello haiku tradizionale giapponese. Al contrario, le poesie di Pansolin utilizzano una struttura formalmente più libera, riflesso essenziale di contenuti moderni e innovativi per il genere poetico preso in considerazione, in una gamma di contesti e immagini differenti: dall’ambiente cittadino e antropizzato, al social network, alla guerra e così via:

una notte in città –
il cemento dei palazzi
e della luna

city night –
the concrete of buildings
and the moon

 

*

 

palazzi abbattuti –
ora più grande
il cielo

blown-up buildings –
the sky
bigger

Pixels resta comunque un’opera che necessita di essere contestualizzata: da circa un secolo, infatti, i poeti giapponesi hanno aperto lo haiku tradizionale a nuove tematiche sociali, culturali e politico-economiche, dando così vita allo haiku moderno o gendai haiku. Questi tipi di componimenti originano da un pressante desiderio di rinnovamento del genere poetico dello haiku e lo allineano al contesto e ai mutamenti sociali, politici ed economici verificatisi fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo fino ai giorni nostri. Tuttavia, l’assenza del riferimento stagionale (kigo/kidai) non porta automaticamente a categorizzare uno haiku come facente parte della tipologia di componimenti conosciuti, appunto, come gendai haiku. Tant’è vero che si possono trovare, in alcuni casi, gendai haiku che utilizzano un chiaro riferimento stagionale ed essere, al tempo stesso, non aderenti allo schema metrico di 5/7/5 sillabe o essere calati in un’atmosfera non tipicamente caratteristica dello haiku classico od ortodosso. Viceversa è possibile trovare poesie di chiara impronta tradizionale in cui non è presente il kigo (i così detti “muki”): il discriminante resta, principalmente e tipicamente, il tema trattato e il periodo storico in cui gli eventi vengono ritratti. Ciò che è importante sottolineare è che, oltre a un’impronta minimalista dell’impianto poetico, i parametri qualitativi per valutare la virtù di una poesia haiku, sia essa gendai haiku o meno, rimangono l’aderenza ai canoni estetici del genere poetico preso in esame:

resti di una nave
galleggiano
accanto alla luna

remains of a ship
float
next to the moon

In sostanza, Pixels è un condensato di preziose gemme poetiche incastonate, una dopo l’altra e pagina dopo pagina, da Pansolin, il quale, attraverso la forma dello haiku moderno, trova il modo di esprimere non soltanto ciò che lo circonda e che vede innanzi ai suoi occhi, ma anche di manifestare la propria unicità prima come persona e poi come poeta di gendai haiku:

in un diamante
la miniera –
un haiku

in a diamond
the mine –
a single haiku

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