SCAFFALE POESIA: EDITORI A CONFRONTO
XL PUNTATA

Kurumuny edizioni – Collana Rosadapoesia 

 

Potete raccontarci brevemente la storia di Kurumuny e di Collana di poesia Rosada? Quali sono le peculiarità che la contraddistinguono all’interno del panorama editoriale contemporaneo?

Kurumuny è una casa editrice attiva dal 2004. Opera nella Grecìa salentina, un’isola linguistica ellenofona situata nel cuore del Salento. In Grico “kurumuny” significa “germoglio di ulivo”. È proprio l’idea di far germogliare la cultura che parte dal basso, quella delle minoranze linguistiche e della cultura orale a dare vita a questo progetto editoriale. Progetto nato per valorizzare un territorio ricco di tradizione antropologica ed etnomusicale. A questo spirito si collega anche Collana di poesia Rosada, nata dall’esperienza dei reading poetici portati avanti alcuni anni fa all’interno di un progetto ambientale chiamato “Orto dei Tu’rat”, nell’entrotrerra della costa ionica. Lì, ogni anno, si svolgevano dei magnifici incontri tra poeti, che leggevano i loro testi nella cornice della campagna salentina. Un’occasione di incontro, di scambio e di ascolto poetico che ci ha portato a pensare di volerne fermare la preziosità in dimensione cartacea. Un’avventura nata quindi per certi aspetti dalla Terra e dall’“Orto dei Tu’rat”, progetto ambientale il cui scopo, indubbiamente poetico, era ed è quello di catturare l’acqua dal vento, creando il cosiddetto “punto di rugiada”. Guarda caso “rosada” è il termine friulano che si usa per definire la rugiada, la perla d’acqua che nutre le piante. Nel nostro caso nutre la nostra sete di poesia. C’è in questa scelta del nome anche un omaggio a Pier Paolo Pasolini e alle sue Poesie a Casarsa quando scrive: tai nustris cuàrps | la fres-cia Rosada |dal timp pierdùt… È da questi stimoli che Milena Magani ha ideato la collana e incontrato Sergio Rotino e Giovanna Battagin, grazie ai quali si sono strutturate le forze redazionali per portare avanti il progetto. Le peculiarità sono presto dette: ricerca di testi di qualità, capaci di risuonare con quanto è dentro il nome della collana.

Potreste enunciare i criteri di scelta a cui vi attenete per le pubblicazioni di poesia? C’è uno stile che è prediletto più di altri? Si può parlare di una linea editoriale che caratterizza Collana di poesia Rosada e se sì, è possibile definirla?

Scegliamo dattiloscritti in cui si percepisca, a monte, un lavoro sul testo e una intenzione al quanto si vuole dire. Cerchiamo di evitare il poetichese, sia esso “basso” o “alto”. Non è detto che ci si riesca, ma cerchiamo di fare questo. I dattiloscritti sono inoltre scelti fra quelli che emozionano testa e cuore. Ci deve essere una fiammella o, anche meglio, un fuoco capace di farsi trovare, di dichiarare il proprio desiderio di dire, di raccontare. Anche per questo non crediamo ci sia per noi uno stile più prediletto di altri. Nel senso che se un libro ha una sua intenzionalità, questo già ci cattura. Poi, sì, a ragionarci con attenzione, prediligiamo un po’ di più una poesia che racconti. Che lavori sempre sulla parola, certo, ma che non dimentichi di raccontare. Forse è questa, alla fine dei conti, la linea editoriale di Collana di poesia Rosada.

Potreste indicare i punti di forza e le criticità di una piccola/media casa editrice come Kurumuny che si occupa di poesia, oggi?

Dobbiamo fare una piccola precisazione e distinzione. Kurumuny ospita Collana di poesia Rosada. La collana si occupa, quasi in esclusiva, di poesia, mentre la casa editrice ha il suo core nella saggistica (antropologica, storica, politica…). Questo porta comunque ad avere le criticità di chiunque si occupi di poesia, oggi, in Italia. Parliamo di un basso ascolto a livello distributivo, di una difficoltà a reperire i nostri titoli, quindi di un rapporto con il pubblico dei lettori (ma anche degli autori) necessariamente più pulviscolare. D’altro canto, ci picchiamo di voler leggere e ragionare su ogni dattiloscritto che arrivi in redazione, di volerne discutere fra noi prima di prendere una decisione definitiva. A volte ci mettiamo ere geologiche per arrivare a una decisione. Possiamo dire di essere lenti? Sì, siamo lenti. Il che non è assolutamente un male, anzi. Direi che questo è uno dei nostri punti di forza. Al di là del risultato di vendita, possiamo affermare di aver sempre ponderato ogni singolo titolo. Quindi di averlo fortemente voluto, fortemente amato. E anche fortemente lavorato. Ecco, questo è un altro punto di forza. Il dattiloscritto viene “lavorato” redazionalmente fra noi e poi, con noi e l’autore. Sulla base del nostro responso di lettura e di riflessione e di dialogo interno, si può chiedere all’autore di porre mano al testo, di rivederlo, di apportare modifiche anche sostanziali. Lo facciamo cercando di far crescere le potenzialità di ogni singolo lavoro. Non ci accontentiamo di pubblicare quanto c’è, ma se scorgiamo margini di miglioramento cerchiamo di portare il libro in quella direzione. Certo, se il testo ci arrivasse già perfetto in ogni sua parte…

Quali sono i titoli più venduti e le/gli autrici/autori più amati del vostro catalogo di poesia? Avete qualche aneddoto da raccontarci in merito a qualche titolo, a cui siete particolarmente legati?

Direi Rebecca Elson, Fabrizio Lombardo, Michele Bellazzini, Sergio Rotino. Ma tutte le autrici e gli autori ospitati nel nostro catalogo sono, per quanto abbiamo detto sopra, da noi amate e amati. Non vi sono figli e figliastri. Credendo in ogni singolo titolo, credendo in ogni singola impresa editoriale che essi rappresentano, sono tutti allo stesso livello per quanto riguarda il nostro apprezzamento.

La poesia continua a rispondere ai bisogni dell’Uomo, nonostante le trasformazioni a cui la società è andata incontro e gli spazi pubblici sempre più esigui a essa dedicati? È corretto affermare che in Italia i libri di poesia non suscitino interesse e vendano poco, come spesso si legge e si sente dire? Cosa si potrebbe eventualmente fare per incrementare l’attenzione del pubblico e incentivarlo a leggere più poesia?

Alla prima domanda possiamo rispondere, forse con una formula banale. Se si continua a scrivere poesia, questo indica che essa continua a rispondere ancora oggi ai bisogni del genere umano. Gli spazi sono esigui come da sempre. Vi è più scrittura, quindi più rumore di fondo. Ma è quello che avviene nelle varie arti. Abbiamo un surplus di tutto. Prenda le arti visive, prenda la musica… È questo che, all’apparenza, sembra ridurre gli spazi. Non siamo poi molto d’accordo sul fatto che i libri di poesia suscitino poco interesse. Bisognerebbe ripostulare la domanda, farla diventare una miriade di domande. Non lo suscitano (apparentemente) perché non sono considerati “merce culturale”, come i romanzi? Cioè sono pensati unicamente come “arte” (quindi difficili da leggere e comprendere) e non anche “merce”? Perché non hanno canali forti di pubblicizzazione? Perché si muovono troppo su un passa parola rarefatto? Perché appaiono come vanity press? D’altro canto è pur vero che la nostra poesia contemporanea sia fra le più complesse al mondo, per elaborazione concettuale. Di fatto, a nostro avviso l’unico vero problema è che, grazie a una capacità economica ancora decente, molti autori si pubblicano senza avere alle spalle almeno un editor e una struttura editoriale seria. Lo fanno, pensando di aver già molto lavorato il testo e di essere gli unici depositari dei suoi contenuti, artisti-artigiani capaci di mettere in commercio un prodotto finito. Per carità, va benissimo e può anche corrispondere a verità. Però è da qui che si arriva al disinteresse del pubblico, alla perenne crisi del libro di poesia. Libri sciatti, pieni della certezza di veicolare il Verbo, privi del minimo dubbio sul come la raccolta sia stata composta, non possono trovare un ascolto che minimo e poco partecipe. Questo modo di fare, alla lunga non invoglia il lettore a continuare nella frequentazione della poesia. Così ecco che, per reazione, proliferano personaggi mediatici spacciati per poeti, cabarettisti che si dicono scrittori in versi. Sono loro la reazione Eppure, forse, chi compra oggi uno di questi poeti, domani si potrebbe avvicinare a forme di poesia più complesse, stratificate, articolate. Come pensiamo sia accaduto a tutti noi.

Quali sono secondo voi i cambiamenti che stanno interessando il mondo dell’editoria a seguito dell’evento pandemico e della nuova crisi economica che si prospetta ineluttabile?

Diremmo la crisi della carta in primis, con costi sempre più esorbitanti. La restrizione o la chiusura di festival di poesia e letteratura medio-piccoli, causa pandemia. L’impossibilità di presentare i libri di poesia nella stragrande maggioranza della penisola in luoghi che prima li ospitavano.

Da diversi anni all’editoria tradizionale si sono andate affiancando, affermandosi sempre più, nuove tendenze che vedono internet (dai blog/siti specializzati ai vari social) come dinamico luogo di scritture: per quanto riguarda la poesia, la Rete può aiutare o al contrario ostacolare la diffusione dei libri di poesia? 

Se da una parte tutto il lavoro che si fa per la poesia tramite Web è encomiabile, avvertiamo da un po’ di tempo un dato di superficialità. La Rete tende a non favorire l’approfondimento, tutto scivola velocemente davanti agli occhi. La comunicazione si fa quindi molto “di superficie”, la fruizione è sempre più parcellizzata. Figuriamoci cosa accade ai contenuti, in special modo a quelli di un testo poetico.

Che consigli dareste a un/a autore/autrice che volesse pubblicare un proprio libro di poesia?

Prima di tutto leggere, leggere, leggere. Poi scrivere, buttare via, scrivere, buttare via, scrivere. Dopo tutto questo, cercare editori che leggano e lavorino al testo in parallelo con l’autrice/autore prima di darlo alle stampe. Se possibile, non un semplice stampatore.

 

Milena Magnani è scrittrice di romanzi, teatro e cinema, e lavora come sociologa. Ha pubblicato L’albero senza radici (Nuova Eri 1993); Delle volte il vento (Vallecchi 1996); Il circo capovolto (Feltrinelli 2008), Io alla Taranta ci credo (Edizioni Kurumuny 2021). È direttrice della Collana di Poesia Rosada. È tra gli sceneggiatori dei lungometraggi Happy Time Will Come Soon, di Alessandro Comodin, e Semina il vento, di Danilo Caputo.

Sergio Rotino vive e lavora a Bologna, dividendosi fra editoria, radiofonia, docenza in corsi di scrittura e di formazione e organizzazione di eventi culturali. Ha pubblicato il romanzo Un modo per uscirne (Abramo editore 2009) e le raccolte poetiche Loro (Dot.com press 2011), Altra cosa da inventare (La collanaIsola 2013), Cantu maru (Edizioni Kurumuny 2017), narrazioni (Seri editore 2021). Ha curato varie antologie, sia di narrativa che di poesia e i volumi Marco Giovenale, Il segno meno (Manni editori 2003); Renato Giorgi, Racconti partigiani (Aspasia 2003); Raymond André, Le vetrate di Saint Denis (Manni editori 2004); Elio Talon, Sideralia (Le voci della luna poesia 2007); Dina Basso, Uccalamma (Le voci della luna poesia 2010). Dal 2010 al 2020 organizza a Bologna la rassegna “Paesaggi di poesia” (ferma per Covid). Nel 2016 e nel 2017 ha organizzato “Riassunto di ottobre”, giornata di reading sulle scritture di ricerca. Giornalista senza tesserino per sua scelta, ha collaborato con le pagine culturali di vari quotidiani, settimanali e mensili. Ha fatto parte della redazione di Versodove, Nuova rivista letteraria e di Zona letteraria. Ha prestato la sua voce alla redazione culturale di Radio città del capo dalla fondazione e creato Il ragazzo dai capelli verdi, trasmissione di letteratura per ragazzi.

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