Fotografia di Dino Ignani

Avevamo già incontrato, in questa rubrica, la poesia di Florinda Fusco. Nel recensire l’ormai introvabile raccolta Tre opere (Oèdipus 2009) ci eravamo concentrati su aspetti che sembravano trascenderne la natura stilisticamente composita, provando semmai a focalizzarci su immagini ritornanti e nuclei tematici persistenti. Le «tre opere» che nel 2009 venivano raccolte in volume (Linee, 2001; Il libro delle madonne scure, 2003; La signora con l’ermellino, 2009) erano insomma tanto un resoconto esaustivo della prima maturità poetica di Fusco, quanto un’operazione di scavo in un materiale biografico, letterario e linguistico denso e magmatico, dal quale, a nostro avviso, emergevano almeno tre temi fondamentali: il corpo, l’infanzia e la liminarità, intesa come condizione-limite in cui la percezione soggettiva si estraniava da sé riversandosi in altro, fossero le perturbanti presenze animali di Linee, le visioni mistico-oniriche del Libro delle madonne scure, o la presenza dei «morti» nella Signora con l’ermellino. Proprio da quest’ultima raccolta prende le mosse Il compleanno e altre opere (Argo 2022), volume che ristampa integralmente il vecchio libro della Oèdipus completandone il percorso con l’aggiunta di un inedito notevole, Il compleanno, appunto, poemetto in cui Fusco sembra riaprire vecchie ferite e confrontarsi direttamente con l’io poetico di tredici anni fa.

La signora con l’ermellino imprimeva alla poetica di Fusco dei cambiamenti impercettibili ma decisivi. Rimaneva una forte spazializzazione del verso, che si espandeva in orizzontale sulla pagina frantumandosi in schegge di lunghezza variabile. Tuttavia, a differenza di Linee (e delle Madonne scure, che conduceva questi tratti verso un picco di informalità), la sintassi sembrava ricomporsi, il discorso farsi meno centrifugo e stratificato, l’ambiente narrativo trovare una definizione maggiore. Si era di fronte, insomma, a una “storia” e a dei “personaggi” maggiormente dicibili, insistendo, la raccolta, su isotopie ossessive (la camera da letto, la sala da pranzo…) e su messe a fuoco perturbanti (gli orologi assenti, i minimi oggetti della quotidianità da cui traspariva la presenza dei «morti», le due figure enigmatiche della «Santa» e della «Signora con l’ermellino»). Nel cuore di questa narrazione franta, una sé-bambina occupava il confine tra detto e indicibile, tra vita e morte, tra sacro e profano, allusione al carattere intimamente magico, ulteriore, dell’infanzia in generale, ma anche messa in forma di un’inquietudine più che mai radicata – come rilevava anche Margherita Ganeri nella prefazione del 2009 – nel gender della scrivente (icastica l’immagine della «porta di sangue» da attraversare per raggiungere l’età adulta).

Affacciandosi sui versi brevissimi del Compleanno, non più ampi e decentrati, ma disposti in strette colonne verticali, si direbbe che lo sperimentalismo di Fusco abbia subito un’altra torsione, stavolta più sostanziale. Eppure, superata la sorpresa di questi versicoli singhiozzanti, i punti di contatto con l’ultima delle «tre opere» sono evidenti, così come evidente è il tentativo, non di superarne, ma di problematizzarne i nuclei tematici principali. Tornano, allora, le isotopie della camera da letto e della sala da pranzo, così come le atmosfere sospese, oniriche, liminari, ma ciò che muta è il valore che queste geografie surreali assumono nella narrazione. Perché ora è il corpo il vero fuoco del racconto, il corpo di questo io-voce o io-lingua («Sono / la mia / lingua», p. 13) che può restringersi fino a perdere la sua massa («I nostri corpi / si appiattiscono / in una foto / di famiglia», p. 14), o espandersi in maniera aberrante («Il corpo si dilata: / adesso / non puoi più / nasconderti», p. 28) fino a coincidere con lo spazio domestico stesso («Il mio corpo […] / pareti / sottili / non / risentono / del / riscaldamento / terreno», p. 31; «Questa / testa / è / una stanza / lunare», p. 43). Se la casa, nei versi di Linee e della Signora, era luogo altro, sconosciuto-familiare, ma custode di tracce di senso e memoria che baluginavano tra presenze animali o apparizioni enigmatiche, questa casa-corpo è al limite dello sfacelo («La stanza / si congela», p. 22; «Vedo / le pareti / sciogliersi», p. 26), gonfia di un silenzio spettrale e incapace di trattenere memoria di un presente di fenomeni immediati che accadono e subito svaniscono («Qui / non c’è / memoria / del rumore. / Solo / lo scricchiolio / delle posate», p. 41). La camera da letto, che nella Signora era luogo di protezione da un «fuori» misterioso e inospitale, qui può trasformarsi oniricamente nella camera di una clinica, in cui «infermiere» indisturbate «portano / aghi / fosforescenti» (p. 22). Persino gli animali, ancora timidamente presenti in queste stanze «lunari» e invase dalla «sabbia», sembrano partecipare a loro volta della dispersione irrimediabile del senso, sottraendosi alla vista dello stesso io e opponendo al suo sguardo attonito nient’altro che il loro mutismo («Ma il cammello / è ancora lì – / come / un dolore / muto / all’angolo / del salotto», p. 27).

Come notavamo anche per Tre opere, lo sperimentalismo di Fusco è tanto più arduo quanto più è radicato in un’esperienza esistenziale di dolore e di abbandono (si veda, a proposito, la fuga dal paese natale che costituiva lo sfondo tragico delle voci-personaggio del Libro delle madonne scure). La scena ritornante che nel Compleanno detta la misura di un trauma non ancora assorbito si svolge in sala da pranzo, dove figure spettrali (ma non più «morti») siedono attorno a un tavolo riccamente imbandito per celebrare l’occorrenza che dà il titolo al poemetto. Una scena familiare vista come da un «vetro opaco», di cui si cerca di conservare una memoria minima (si veda il tema, a sua volta ritornante, della foto di famiglia), ma è proprio nel confronto con l’indifferenza dei commensali («Gli invitati / chiacchierano, / ridono, / fingono / di / non / vedere», p. 50) che l’io poetico sembra rivivere una ferita originale («Sotto / i vestiti […] / qualcosa / macchia / la camicetta / di rosso», p. 50). Ecco allora il nocciolo oscuro, il centro simbolico da cui l’intero poemetto è irradiato.

Il compleanno si pone come il rilancio di una ricerca tra le più raffinate e consapevoli dell’attuale panorama poetico italiano. Nel riprendere in mano le Tre opere del 2009, Fusco ne ha sì rivisto criticamente il percorso stilistico, ma ne ha anche serbato quell’aspetto che allora ci appariva più autentico: l’uso della poesia come scandaglio, come strumento di messa a fuoco di quel grumo ossessivo di immagini traumatiche, di presenze ritornanti che definiscono l’io nel rapporto con il suo mondo, con il suo linguaggio, con il suo vissuto onirico e fantasmatico. Tre opere più una che oggi colpiscono per coerenza e profondità, e che questa nuova edizione permette finalmente di rileggere sotto una luce nuova.

da Il compleanno e altre opere (Argolibri 2022)

(autoritratto)
un errore, nata, fantasia chimica, sproporzione di dosi, troppo elio, poco ossigeno, scombinazione, calcolo entropico, un nucleo rosa, una nube elettronica, ignota, disorganizzazione di unità fondamentali nella materia, e poi dopo oppure prima: separazione genetica, genealogica, spaccatura di un atomo, forse di un nucleo, elementare, interazione elettromagnetica debole o troppo forte, antiparticella sempre, e poi dopo oppure prima: qualcuno c’è, qualcuno va via, qualcosa rimane, qualcosa scompare, all’improvviso, qualcosa ti ascolta, nell’aria, non ascolta, il giorno, la notte, ricogliere, un qualcosa, perduto nel tempo, un giorno, non si sa quando, aspettare, quando

da Il compleanno (2022)

0.3
Sono
la mia
lingua,
un albero
che cresce
dalla
mia testa
durante
un pranzo
di famiglia.
Guardo
la tavola
imbandita
– bicchieri
assonnati
posate
come ossi
di animali
piatti
di porcellana
che scaldano
il dolore – .
Pendono
sui nostri
crani
gli addobbi
della festa.
I corpi
rigidi
intorno
al tavolo.
Una crepa
nel pavimento
– fili
di acqua
lentamente
sommergono
la stanza –
sala da pranzo
subacquea.
Le posate
si sollevano
dai piatti
ruotano
come pianeti
intorno
alle teste.
Vedo
gli invitati
come
da lenti
opache.
I nostri corpi
si appiattiscono
in una foto
di famiglia.
Con
una grossa forbice
ritaglio
il tavolo
e le figure
attorno.
Copro
la foto
con una macchia
di inchiostro
blu
e l’attacco
sull’album
di famiglia.
– Ci scrivo
sotto:
intervallo
dell’anima.

0.9
Il mondo
ora
è
questa
camera
bianca
tonda e opaca.
Il corpo
diventa
albero
delle croci.
Le infermiere
si coprono
i capelli
con cellophane
azzurro,
s’abbottonano
i camici l’un l’altra –
dal collo
fin giù ai piedi.
Io non ho protezione.
È l’ora delle visite –
facce truccate
premono sul vetro.
Sul muro
s’annidano
insetti.
Oltre
il soffitto
vedo
un corpo
che porta
sulle spalle
tutti i corpi.

0.22
Nella casa
lunare
la tavola
senza invitati
è sempre
imbandita.
Nei piatti
brandelli
di memoria
serviti come
pezzi di animale.
Al centro
della stanza
cresce
un albero
di oggetti
sconosciuti,
raggiunge
la mia bocca
abisso dei morti
fino a coprirne
le vocali.
Qui
non
c’è
memoria
del rumore.
Solo
lo scricchiolio
delle posate.
Negli armadi
non ci sono
vestiti
né cappelli.
Il corpo
è un albero –
che indossa
una lunga
sottana
bianca
con i bordi
di merletto.
Residui
di polvere
terrestre
tra i capelli.
In un cofanetto
spille,
anelli,
orecchini
ghiacciati.

0.30
Eccomi
qui
vestita
a festa.
La camicetta
bianca
col merletto,
abbottonata
sino al collo.
La gonna
lunga,
i tacchi
quadrati,
decisi.
I capelli
tirati,
un fermaglio
con
piccole
perle.
Cerco
le ciglia
finte
mai usate.
Un rapace,
fiero,
è riflesso
nello specchio.
Apparecchio
la tavola,
la tovaglia
a fiori
cucita
dalla nonna,
una poltrona
porpora
per un nuovo
Papa,
i piatti,
ad orlo
dorato,
la geometria
regolare
di forchette
e coltelli.
Eccomi qui
seduta:
guardatemi.
Sotto
i vestiti
sul seno
qualcosa
macchia
la camicetta
di rosso
giù dal
colletto.
Gli invitati
chiacchierano,
ridono,
fingono
di
non
vedere.
Io,
fingo
di
non
sentire.

Florinda Fusco nasce a Bari nel 1972. Poetessa, autrice teatrale, traduttrice e critica letteraria, esordisce con Linee (Zona 2001), raccolta cui fa seguito Il libro delle madonne scure (Mazzoli 2003). Entrambe vengono ristampate in Tre opere (Oèdipus 2009), volume in cui compare anche l’inedito La Signora con l’ermellino. Altre sue opere di poesia sono Thérèse (Polìmata 2011), Film. Macchina della vista e dell’udito (La camera verde 2017) e il bilingue The book of the dark madonnas (Zona 2020). Sono in uscita Materia osservabile e Quaderno non matematico. Ha tradotto dall’argentino la poetessa Alejandra Pizarnik, vincendo, nel 2004, il premio nazionale di traduzione Bernard Simeone. Collabora con la compagnia di ricerca teatrale Opera. Come critica ha pubblicato i volumi Amelia Rosselli (Palumbo, 2007), Verso il libro. Scrittura e pensiero di Edoardo Cacciatore (Graphis, 2008), Calvino verso Borges (Cacucci, 2012), Figure femminili e scrittura religiosa tra Cinquecento e Seicento (Cacucci, 2017), e ha curato l’edizione critica del poemetto Tutti i poteri di Edoardo Cacciatore (Empiria, 2007). Inoltre, un suo saggio critico è apparso come postfazione al volume Tutte le poesie di Edoardo Cacciatore, a cura di Giorgio Patrizi (Manni, 2003). Suoi testi poetici e contributi critici sono stati pubblicati, in particolare, nell’importante antologia Àkusma. Forme della poesia contemporanea (Metauro edizioni, 2000), e nel recente volume collettivo Teoria&Poesia (Biblion, 2018), oltre che nelle riviste «il verri», «Poetiche», «Nuovi Argomenti», «Allegoria» e «L’immaginazione».

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