Testi tratti da L’estate del mondo (Marco Saya 2019)

La corriera si fermò in mezzo ai campi
di Maccarese; l’autista smarrito
chiedeva indicazioni ai passeggeri
sul tragitto rimasto. Era perduto,
il pomeriggio; perso che scendemmo
dalla corriera e facendoci largo
tra il grano arrivammo alla spiaggia

libera. Sparsi e rari gli ombrelloni;
nascondemmo i vestiti in una buca.
In acqua realizzammo con il sale
una per una tutte le ferite.
Alcune piccole, molte invisibili
ma dolorose al tocco e all’unghia; come
ogni verginità di questo mondo.

Sparì l’amica in un tuffo e riemerse
distante. Mi chiamò per poi sparire
ancora e prendermi le gambe e farmi
scivolare sul fondo. La inseguii
fino a una secca, dove centinaia
di pesci agonizzavano spiaggiati;
diversi già in putrefazione, tanto

che al piede si attaccavano gli umori
argentei e i luccichii madreperlacei
delle squame distrutte.

Quanto cielo
da perdere non visto, il nostro; e quanti
giorni da quell’estate? Li hai contati?
La secca è ancora lì che la ritrovi
per quanto i sogni possano saperne.

***

Campo

Un giorno la vedremo intera, questa
stagione. Basterà
un fuoco in spiaggia a memoria di festa
e il bagnasciuga a dire l’aldilà
delle conchiglie mai raccolte:

                   Controcampo

così tante – ricordi? –  Che per tutta
la notte ci hanno tormentato. In sogno
maree su maree di conchiglie.
Il letto ne fu invaso; le lenzuola
ci ferirono per tutto il tragitto fino alla spiaggia.

***

È la notte di san Lorenzo. Prima
che cadano le stelle scavalchiamo
il muretto del centro sportivo.
L’acqua della piscina è ancora mossa;
imita nei suoi guizzi le vicine
luci del campo da calcio; riflette
i nostri visi oltre il bordo, curiosi
del fondale laccato.

“Guarda”, mi dici alzando la tua Tennent’s
verso la Luna, “è come se a momenti
tutti i passati a noi qui ritornassero;
l’acqua si muove, si sta preparando
a ridarceli tutti”. Getti via
la bottiglia ormai vuota. Ci sediamo.
Ignoravamo che una volta nudi
saremmo nudi rimasti per sempre.

C’è qualcuno vicino a noi, ma l’ombra
lo nasconde. Sappiamo a cosa i corpi
servono gli uni agli altri, ché vent’anni
sono bastati a questo.
Abbiamo smesso di parlare; adesso
ascoltiamo soltanto.

Le presenze
non ci temono più; così continuano
i loro giochi a bassa voce, quasi
chiedessero a noi di imitarle.

Gabriele Galloni è nato nel 1995 a Roma, dove vive. Le sue raccolte di versi sono: Slittamenti (Alter Ego-Augh! Edizioni 2017, nota introduttiva di Antonio Veneziani), In che luce cadranno (Rplibri 2018), Creatura breve (Ensemble 2018). Ha curato per la rivista “Pangea” la rubrica Cronache dalla Fine – dodici conversazioni con altrettanti malati terminali. Nel 2018 ha fondato la rivista online Inverso – giornale di poesia. Sue poesie, oltre a essere tradotte in spagnolo e in romeno, sono apparse sulle maggiori riviste italiane.

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