Fotografia di Dino Ignani

Recensione di Maria Luisa Vezzali

[…] Questo luogo è vivo di morti e di viventi
Non sono mai stata sola qui
Indosso i miei tre occhi mentre percorro la strada
passato, presente, futuro sono tutti al mio fianco
Passeggera colpita dalla tempesta, dalle robuste ali
nulla di ciò che ho seppellito può morire

(A. Rich, Calle Visión 9, 1992-3)

I versi in esergo sono tratti dal volume Dark Fields of the Republic (1995) di Adrienne Rich, poeta molto cara sia a chi scrive, sia a Loredana Magazzeni che ha da poco dato alle stampe per Seri Editore Nella tempesta presente, un’opera particolarmente significativa in quanto rappresenta un’autoantologia delle sue raccolte precedenti, ma soprattutto «un’autobiografia, scompaginata e dispersa, eppure che resiste ancora e mi interroga sul significato oggi di quello che ho scritto venti e più anni fa» (da una nota dell’autrice a p. 12). Questi versi sono un’utile porta di ingresso alla lettura di Magazzeni, non solo perché contengono le parole del titolo, ma anche perché spiegano in modo contemporaneamente obliquo e preciso, come solo la poesia sa fare, il senso della pubblicazione, la quale si nutre e freme della stessa temperie femminista che ha animato Rich, come Jessy Simonini fa ben emergere nella sua prefazione: «Loredana ammette di essersi “macchiata della colpa femminista”, questa colpa è in realtà l’architrave e il nutrimento del suo sguardo poetico, che per sua natura s’oppone all’ordine patriarcale e fallologocentrico» (p. 7).

            Innanzi tutto si può dire che questo libro è veramente un luogo «vivo di morti e di viventi». Numerose le liriche che sono in realtà missive inviate tanto a compagne di viaggio e di scrittura quanto ad amiche e amici poeti defunti, da Giuliano Mesa (1957-2011) a Paola F. Febbraro (1956-2008), da Carlo Bordini (1938-2020) ad Antonia Pozzi (1912-1938). Non solo poeti, però, anche cittadine comuni, come Elisa Pomarelli, vittima di un femminicidio accaduto a Piacenza nel 2019, o miti dell’immaginario collettivo, come Marilyn Monroe. E per questo si applica perfettamente a Magazzeni l’idea «Non sono mai stata sola qui». Le parole di cui è fatta l’opera sono pronunciate da un io sempre in “connessione” con un tu, con un voi, fino a sfociare in un noi vicino e lontano, collettivo e singolare, di parenti e di annegati nel Mediterraneo uniti dallo stesso legame amoroso, vivo ed eloquente, commosso ed esperto. Non è poesia della solitudine, anche se conosce la solitudine; è un «enorme orecchio spalancato» attraverso il quale il corpo ascolta il mondo (p. 169), l’«anello» di una catena continua, liberatrice e operaia di «inesausta congiunzione».

            Ed è una poesia con «tre occhi» rivolti a passato, presente e futuro. La “tempesta presente” è ben chiara all’autrice, incarnata nelle catastrofi personali come il decesso della madre o l’età incalzante e storiche come la guerra, gli attentati di Parigi del 2015 o l’epidemia di Covid, alle quali Magazzeni si offre senza paura o atti di rimozione che non siano la macerazione del proprio narcisismo autoriale: «Io sono trasparente / se agisco sulla forma del sentire / dentro il sentire dentro il pane / carne e parole» (p. 155). Ma il presente non serve da dimensione su cui appiattire il pensiero: carne e parole sono in funzione della testimonianza, quanto del ricordo («[…] ciò che ha memoria veglia assieme a noi / presso gli incroci dove stridono / quieti velami e aeree coincidenze […]», p. 182), della testimonianza quanto della profezia («[…] La lotta di un popolo contro l’altro / non sarà più materia dei curricoli. / La storia sarà la storia del resistere / alle sorridenti sirene del profitto […]», p. 213).

            Ed ecco quindi che, nonostante la tempesta sia impietosa, niente che sia sepolto e custodito nelle pagine di questo libro può veramente morire, anzi la realtà viene guarita e riparata. Con uno struggimento infinito il Meridiano dedicato a Ezra Pound si chiudeva con questi versi impareggiabili: «Ho provato a scrivere il Paradiso / Non ti muovere, / Lascia parlare il vento / Così è Paradiso // Lascia che gli Dei perdonino quel che / ho costruito / Chi ho amato cerchi di perdonare / quello che ho costruito» e alla pagina seguente la linea di chiusura esortava «Uomini siate non distruttori». Ma in tutto questo sublime novecentesco la richiesta di perdono non castiga il titanismo del progetto. La scrittura di Magazzeni, al contrario, vuole evitare sublime e titanismo: non erige torri babeliche, rammenda le reti: «Nel riparare è il gesto del cucire. / Né nel distruggere, né nel costruire. / Nel riparare è il gesto più sapiente» (p. 169).

            E se non si può non concordare con Sonia Caporossi quando come prima proposizione della sua Poetica More Geometrico Demonstrata colloca «Il principio di determinazione del poetico non è il contenuto bensì la forma» (su “Poesia del nostro tempo” del 28/06/2021) – che per altro consona con Rich quando all’inizio del saggio Six Meditations in Place of a Lecture (2001) scrive «senza l’intuizione e il mutamento, ogni volta a ogni nuova poesia, di quale sarà la sua forma, non ho alcuna poesia, alcun contenuto, alcun significato» – anche da questo aspetto la raccolta di Magazzeni sostiene il corpo a corpo con la “tempesta presente”. La forma è ricercata e scavata ogni volta a ogni nuova poesia o gruppo di poesie, senza mai perdere riconoscibilità, in modo coerente e persuasivo sia quando percorre la via lirica, sia quando assume più evidenti tonalità civili, grazie al «potenziale trasformativo di una scrittura che non è mai uguale a sé stessa, ma piuttosto evolve con il corpo e con il soggetto che lo abita» (sempre Simonini a p. 6). Proprio per questo l’operazione voluta dall’autrice e dal suo editore di riunire in un unico libro vent’anni di lavoro 1998-2023 ha un significato così pregnante, perché permette un viaggio tra le forme che di volta in volta ha intuito. Testi brevi fatti di schegge e frammenti, quando si cerca di «capire il fallimento / della ragione» (p. 17); piccole prose non narrative, quando nel momento del lockdown la mente si arrovella in un soliloquio che ha nostalgia del fuori (p. 20); botta e risposta con un testo altro (La miracolosa ferita del 2022); testi più lunghi e narrativi quando interviene il desiderio di custodire il piccolo paese abbandonato Aterrana e i suoi personaggi (L’angelo della storia); inni epico-liturgici quando si innalza un Canto alle madri (2003); e poi invettive ironiche quando si affrontano elementi del costume (Avvertimenti a giovani e anziane donne sui pericoli insiti nell’avvicinamento ai Grandi Narcisi), variazioni seriali intessute di linguaggio impoetico e quotidiano (La bambina o serie del colesterolo) o scrittura di ricerca tra ready-made, improvvise accensioni e montaggio di oggetti che si rincorrono irrelati (Officina). Tutta la polimorfia e il nomadismo dell’oggi.

            Con quest’opera, monumentale anche per il numero delle pagine, così raro nei libri di poesia, Loredana Magazzeni ci accompagna in un attraversamento della storia recente, offrendoci una vasta «pluralità di mondi immaginari» (p. 232), eppure così reali, da servirci da specchio e di interruttore di riconoscimento, da rifornitore di energia e di apertura al cambiamento, «dove non c’è posto per una fissità scolpita» (p. 132).

da Tempi duri per i viventi

Cercando        di capire il fallimento
della ragione   e il pessimismo cui
non ci              piegammo nelle pagine
solari del         nostro passato
piantiamo       alberi              sul pianeta
torniamo         ai paesi abbandonati
cerchiamo       le case di pietra e cotto sbrecciato
della nostra     prodigiosa infanzia
ricca                di tesori.

*

Genesi (In memoria di Aldo Ferraris, poeta)

I

Oggi il caldo animale è il miracolo breve di ogni ricongiunzione.
Ci chiediamo se il senso delle cose racchiuda una violenta bellezza
o solo perseveranza. Tu mi inviti a una danza da cui, divincolandosi,
tutte le cose presero forma ed ora giacciono incomplete.

II

Quello che torna chiaro è la misteriosa grandezza di ogni rito.
Di come, sotto mentite spoglie, gli dei primigeni ritornino a frugarci,
mentre il piede calzato che segna il passo della danza
è la cifra che batte il tempo sacro di ogni perdita.

III

Non esiste voracità ce non ci consegni a una solitudine,
o mai perduta distanza che sei ancora misura di tute le cose.
Il tuo passo germinale è l’onda su cui i miei capezzoli si innalzano,
se scuoti il mare genero latte e tenebra dentro la tua voce.

IV

La tua determinazione a distillato il calligramma della mia potenza.
Dentro il tuo corpo affiorano abissi e desolate terre.
Siamo pagaia ed acqua, vela di spuma ed albero maestro
che tu guidi, nocchiero amante, alle segrete feste.

V

Nel grembo della terra la mia stagione è il ritorno.
Lungamente mi attendono le cerimonie dei muschi.
Gli uccelli e gli insetti hanno divorato la lenta deriva.
Si sono nutriti del mio letto di spuma, dell’eco dei tuoi passi.

VI

Costanza e mutamento non sanno più alternarsi.
La regola terrestre è l’inesausta congiunzione
del fuoco con la pietra, dell’acqua con il vento.
I peccati che indosso come pietre di anelli.

*

A Marilyn, sulla bellezza

Penso che le donne belle servano ad essere esibite.
Avanzano come ambulanti trofei.
Io sono contro la bellezza, ha rovinato troppe vite.
La bellezza mi ha reso schiava
perché credevo di non possederla.
Chi ama la bellezza non ama se stessa
perché si guarda in uno specchio deforme
e deforma lo specchio della propria esistenza.
Il confronto con la bellezza è spreco di sé.
Essa si insinua a distruggere
a dire la perdita e mai l’amore
con cui ogni giorno accudisci e rinforzi
la tua vera umanità ineguagliabile
che non sa sorridere della bellezza che possiede.
La bellezza è sempre uguale a se stessa.
Rigida e fredda come una statua greca
congelata nell’eternità di un sorriso.
Tu che muovi le labbra invece puoi
modulare un’ampia gamma di sorrisi
davanti ad occhi che sanno lo sguardo
irriverente e libero del vero amore di sé.
Alcune persone non sanno dire noi.
Saranno stati figli unici nelle loro costellazioni
familiari. Io ho tre fratelli e una sorella.
Nella mia casa non si stava mai soli.
Anche la casa non restava mai sola.
Ognuno entrava a tutte le ore.
Era scortese non gioire di una visita.
Poi vennero gli anni Settanta,
le donne, gli amici
dell’Università.
Vestivo coi fiori e gli zoccoli
ascoltavo Cat Stevens e ti ammiravo, Marilyn.
Il mondo che vedevo mi sembrava
il migliore possibile. Non avevo il
coraggio di parlare.
La città si improvvisava
amica.
Dire noi voleva dire
cambiare. Eravamo piene di sogni.
Non ci immaginavamo vecchie.
Nessuno di noi poteva mai invecchiare.
Questa era la bellezza.
Anche tu, Marilyn, non sei invecchiata mai.

*

L’angelo della storia
Su questi muri
edificati con cura geometrica
l’angelo della storia passò
senza fermarsi nella sua distrazione
strappò qualche fiore selvatico
vide i licheni abitare le soglie
le muffe portarsi via mobili e glorie.
L’oliveto che fu n’coppa o lulito
era di Pataturk, col viso devastato
che a tutti faceva paura
e un giorno lo trovarono morto
benché non avesse mai fatto del male.
L’olio che ne spremeva
era salato di mare
di emigrazione e miseria.
L’angelo stampò un patto
passando e ripassando le sue ali
sui tetti e l’ombra delle fontanelle.
Mi prendo i giovani vi lascio il silenzio
finché qualcuno non verrà a ricantare
il calvario del sole che spacca le pietre
la vita di quanti qui versarono anni
scrissero le cifre dei loro desideri sui portoni aperti.

*

da Officina

[…]

scrittura come oggetto potente / ne prendi a piccole dosi / con una sensazione quasi fisica / da contrapporre agli elementi disgreganti / e tutti i fili tornano ad una coerenza

questa capacità di vedere / il tuo modo di guardare le visioni / tu guardi avanti mentre vai /e poi guardi indietro / visitare questo luogo con stupore / con sofferenza e guardando proprio bene / qualcosa che resta

(questa sera, lo vedo, mi hai parlato
a lungo)
veglie storie visioni

}}}

la passività e l’attività creano la visione di chi scrive / notte materna che ha nutrito e nutre / non si può spiegare la notte perché è già alba / ogni evento narrato è visto nel suo riflesso / percorso già costruito nel tempo / ridare alle certezze la trasparenza della nascita

nell’ora dell’alba è possibile entrare / già tutti gli elementi enunciati poi si ritroveranno / anche se garanzie non ce ne sono / tranne quelle di ritrovare ciò che si vuole ritrovare / le piccole vite contorte

}}}

Tolstoy nel suo destino
di voci e scene Sonia
che alleva i suoi tredici figli
Emma Flaubert che scrive
la mancanza
Picasso ebbro di vite
si siede sulla montagna
}}}

[…]

Loredana Magazzeni vive a Bologna e si occupa di poesia e di critica letteraria militante. Ha co-curato varie antologie di poesia, fra cui, con F. Mormile, B. Porster e A.M. Robustelli Corporea. Il corpo nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese (Le Voci della Luna Poesia, 2009), La tesa fune rossa dell’amore. Madri e figlie nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese (La Vita Felice, 2015), Matrilineare, Madri e figlie nella poesia italiana dagli anni Sessanta ad oggi (La Vita Felice, 2018). Fa parte del Collettivo di traduzione WIT (Women in Translation), che ha pubblicato l’antologia Audre Lorde, D’amore e di lotta. Poesie scelte (Le Lettere, 2018). Del 2019 la ricerca di storia dell’educazione delle donne Operaie della penna. Donne, docenti e libri scolastici fra Ottocento e Novecento  (Aracne). Con Luciana Tavernini ha tradotto di María-Milagros Rivera Garretas, Emily Dickinson. Storia vera d’amore e poesia  (VandA Edizioni, 2021). Fa parte del Gruppo ’98 di Poesia di Bologna, la cui storia è tema del videodocumentario Lo sguardo delle altre. Storia del Gruppo ’98 di Poesia, a cura di Zoe Giusti Roversi (2023). Scrive per le riviste Leggendaria e www.letteratemagazine.it. È fra le curatrici del Repertorio critico delle poete italiane contemporanee, di prossima uscita per Vita Activa Nuova. È socia della SIL (Società Italiana delle Letterate) e dell’Associazione Orlando di Bologna.

Maria Luisa Vezzali (Bologna 1964), docente di Materie letterarie nella scuola superiore, è traduttrice di Adrienne Rich (Cartografie del silenzio, Crocetti 20202, e La guida nel labirinto, Crocetti 20212, premio per la traduzione dell’Università di Bologna) e Lorand Gaspar (Conoscenza della luce, Donzelli 2006). Per Raffaelli (2011) ha curato un’edizione dell’Anabasi di Saint-John Perse. In poesia ha pubblicato L’altra eternità (Edizioni del Laboratorio 1987), Eleusi marina (in “Terzo quaderno italiano” a cura di Franco Buffoni, Guerini e Associati 1992), dieci nell’uno (Eidos 2004, disegni e sculture di Mirta Carroli), lineamadre (Donzelli 2007, premio Anterem/Montano), Forme implicite (Allemandi 2011, gioielli e disegni di Mirta Carroli), Tutto questo (Puntoacapo editrice 2018, premio don Luigi Di Liegro 2020). Fa parte dell’Associazione Orlando e del collettivo di traduttrici WiT (Women in Translation), che ha prodotto Audre Lorde, D’Amore e di lotta (Le Lettere, ottobre 2018). www.marialuisavezzali.com

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