Dall’introduzione di Danila Boggiano

Ciò che sorprende in Florbela Espanca è non tanto la problematica fragilità che riguarda il rapporto con sé stessa e con il mondo, cosa poco sorprendente, trattandosi di poesia, quanto la potenza delle immagini in cui questa fragilità va a confluire, come un abito sontuoso di colore rosso indossato in occasione di un lutto. Non per negarlo e rovesciarlo convenientemente in festa, ma per mostrarne in contrasto i dolorosi risvolti, contrappunto alla lucida consapevolezza spinta sino al punto dell’esasperazione che è il segno di Florbela donna e poeta. Guarda in sé, Florbela, e lo fa incessantemente e immediatamente, musicalmente, senza nulla concedere alla parte riflessiva e mediatrice della parola che potrebbe appunto flettere nella direzione del pacato aggiustamento il suo sguardo. Eppure, nonostante la prepotenza impietosa e impetuosa del sentire e l’evitamento, quasi sconsiderato meccanismo di difesa posto dalla sua tendenza all’autodistruzione, da parte del linguaggio di una qualsivoglia misurata rappresentazione del dolore, questa poesia non sfiora neppure il rischio della leziosaggine e del patetico accoramento che certa letteratura, soprattutto femminile, potrebbe evocare. Al contrario, proprio da questo modo, tutto tratto dalla sensualità dell’accadere in lei delle cose, scaturisce quella danza tra l’alto e il basso che eccede il suo personalismo e si fa condivisione. Ne sono testimonianza i simboli, quasi archetipi, cui ricorre, la torre, il castello, la brughiera, la tempesta, la lotta tra la luce e il buio dei crepuscoli, il vento, l’abisso come tradimento dell’altitudine e l’altitudine come specchio solenne dell’abisso e suo riscatto. Eros, in Florbela, eterno gioco tra poros e penia, tra desiderio e sua malinconica dissoluzione e desiderio del desiderio ancora, e nessuna possibilità di tregua, neppure a livello di nichilismo che potrebbe essere infine un approdo, non privo dei suoi conforti, dentro il principio di morte. Bipolarità, forse, l’andamento nevrotico che la riguarda? E chi è immune da nevrosi? Ma in quanti hanno gli strumenti espressivi- sì, a volte gli dei possono essere buoni-per trarre l’oro dalla nevrosi? Questa la grazia che Florbela, e persino il suo nome sembra suggerirla, porta con sé ed efficacemente ci svela, la possibilità qui, sulla terra obliqua dell’incompiutezza, della sosta dolorosa e ineludibile all’angolo degli otto cammini, di essere almeno nell’istante della pagina, nella dialettica giocosa e tragica tra il suo deserto e il segno chiamato a smentirlo, il fiore prezioso schiuso, fermo al punto giusto che lo riguarda.

Da Poesie scelte (Oltre Edizioni 2023), traduzione e cura di Danila Boggiano

Torre di nebbia

Salii in alto, sulla mia esile torre,
fatta di fumo, nebbie e luce lunare,
e iniziai, commossa, a conversare
con i poeti morti, tutto il giorno.

Raccontai i miei sogni, l’allegria
dei versi che sono miei, del mio sognare,
e tutti i poeti in lacrime,
risposero allora: quale fantasia,

creatura dolente e ingenua! Anche noi
abbiamo avuto illusioni, come nessun altro
e ogni cosa ci sfuggì, ogni cosa finì.

Tacquero i poeti, tristemente…
Ed è da quel momento che piango amaramente
nella mia esile torre accanto al cielo!…

Torre de névoa

Subi ao alto, à minha Torre esguia,
Feita de fumo, névoas e luar,
E pus-me, comovida, a conversar
Com os poetas mortos, todo o dia.

Contei-lhes os meus sonhos, a alegria
Dos versos que são meus, do meu sonhar,
E todos os poetas, a chorar,
Responderam-me então: Que fantasia,

Criança doida e crente! Nós também
Tivemos ilusões, como ninguém,
E tudo nos fugiu, tudo morreu!…

Calaram-se os poetas, tristemente…
E é desde então que eu choro amargamente
Na minha Torre esguia junto ao céu!…

 

Quello che sei

Sei quella che tutto intristisce
irrita e amareggia, tutto umilia;
quella che il dolore ha chiamato figlia;
che per gli uomini e per Dio vale nulla.

Quella che la luce del sole oscura,
che neppure sa la strada che percorre,
e uno splendido amore che è meraviglia
mai abbaglia, e illumina e riscalda!

Mar-Morto senza correnti né onde grandi,
che striscia a terra, come i mendicanti
tutto fatto di amaro pianto!

Sei anno che non ha primavera…
ah! Non sei come le altre donne
principessa incantata dalla chimera!…

O que tu és…

És Aquela que tudo te entristece
Irrita e amargura, tudo humilha;
Aquela a quem a Mágoa chamou filha;
A que aos homens e a Deus nada merece.

Aquela que o sol claro entenebrece,
A que nem sabe a estrada que ora trilha,
Que nem um lindo amor de maravilha
Sequer deslumbra, e ilumina e aquece!

Mar-Morto sem marés nem ondas largas,
A rastejar no chão, como as mendigas,
Todo feito de lágrimas amargas!

És ano que não teve primavera…
Ah! Não seres corno as outras raparigas
Ó Princesa Encantada da Quimera!…

 

Crepuscolo della sera

Si svena la luce in un fulgore d’aurora,
ci dice addio in una comune preghiera…
ed io che in nulla credo, sono più credente
di quanto lo fui, da ragazza… un tempo…

non so che cosa in me ride o piange,
sento amore per tutta la gente!
E la mia anima ombrosa e dolente
singhiozza in quest’ora sfinita…

Ore tristi come i grani del mio rosario…
o mia croce di così pesante legno!
O mio amaro e interminabile calvario!

E in questo momento tutto in me rivive:
saudade di saudade che più non sento…
sogni che sono i sogni di quelli che sognai…

Anoitecer

A luz desmaia num fulgor aurora,
Diz-nos adeus religiosamente…
E eu que não creio em nada, sou mais crente
Do que em menina, um dia, o fui… outrora…

Não sei o que em mim ri, o que em mim chora,
Tenho bênçãos d’amor p’ra toda a gente!
E a minha alma sombria e penitente
Soluça no infinito desta hora…

Horas tristes que são o meu rosário…
Ó minha cruz de tão pesado lenho!
Ó meu áspero e intérmino Calvário!

E a esta hora tudo em mim revive:
Saudades de saudades que não tenho…
Sonhos que são os sonhos dos que eu tive…

 

Rustica

Essere la fanciulla più bella del villaggio,
camminare, sempre lieta, sullo stesso sentiero,
veder scendere sul riparo sicuro
la benedizione del Signore per ogni figlio.

Un vestito di chintz lavato con cura,
che odora di timo e lavanda…
con il chiaro di luna dissetare il bestiame,
alle colombe porgere il sole in un chicco di grano…

Essere pura come l’acqua del pozzo,
avere fede in una vita eterna
quando approderò alla “terra della verità”…

Dammi questa calma, mio Dio, questa umiltà!
Offro in cambio il mio trono di principessa,
e tutti i miei reami di ansietà.

Rústica

Ser a moça mais linda do povoado,
Pisar, sempre contente, o mesmo trilho,
Ver descer sobre o ninho aconchegado
A bênção do Senhor em cada filho.

Um vestido de chita bem lavado,
Cheirando a alfazema e a tomilho…
Com o luar matar a sede ao gado,
Dar às pombas o sol num grão de milho…

Ser pura corno a água da cisterna,
Ter confiança numa vida eterna
Quando descer à «terra da verdade»…

Meu Deus, dai-me esta calma, esta pobreza!
Dou por elas meu trono de Princesa,
E todos os meus Reinos de Ansiedade.

 

Florbela Espanca, pseudonimo di Flor Bela de Alma da Conceição, nacque a Vila Vicosa nel 1894, 8 dicembre, e nello stesso giorno morirà suicida, trentasei anni dopo. La sua vita porta fin dalla nascita il segno dell’inquietudine e della stravaganza. Nacque infatti da una relazione extraconiugale del padre, relazione che la moglie accettò, essendo sterile. Florbela fu cresciuta, insieme con il fratello Apeles, nato tre anni dopo dal rapporto con la stessa donna, dal padre e dalla moglie, nonostante fossero stati registrati come figli di padre sconosciuto. Florbela fu una delle prime donne in Portogallo a portare a compimento il ciclo di studi secondario e ad iscriversi successivamente alla facoltà di Diritto, senza tuttavia conseguire la laurea. Si sposò tre volte, ebbe molti amori, non ebbe figli. Contemporanea di Pessoa, la sua storia letteraria oscilla tra apprezzamento e mancato riconoscimento e spazia dalla poesia alla prosa. In vita furono pubblicate soltanto due antologie di testi poetici, il Libro dei dolori e il Libro di sorella saudade. Tutta l’opera poetica di Florbela fu raccolta in Sonetti completi e pubblicata nel 1934 da Guido Battelli, un professore italiano innamorato della sua poesia, e forse anche di lei, con cui fu a lungo in corrispondenza e da lei ritenuto uno degli amici più cari. Oggi, nonostante l’ostracismo di cui fu vittima a lungo da parte del regime salazarista e della Chiesa, è a buon diritto annoverata tra i grandi della letteratura portoghese.

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