Dettaglio di un’opera di Paolo Cervi Kervischer

La nostra rubrica, Poetiche Fenomenologiche, prende avvio da una raccolta poetica di recentissima pubblicazione, Lo stato della materia (Arcipelago Itaca Edizioni 2020) di Riccardo Socci. Abbiamo scelto questa raccolta proprio perché i componimenti che vi si avvicendano rappresentano una spia di indagine notevole per ciò che concerne la percezione che il poeta ha di sé e dell’extra-sé, con le sue peculiari declinazioni tematiche e di scrittura e in dialogo con alcune linee di tendenza che investono un panorama poetico attualmente frastagliato, molteplice, mai uniforme.

In Lo stato della materia la voce poetante promana dal corpo, autopercepentesi come la sede di «processi endotermici» e di assimilazioni e tentate decodificazioni di «segnali»: una parola chiave nei testi, non sempre in posizione sintatticamente coerente, ma che sembra quasi alludere a inferenze interpretative di epifanie semiotico-naturali. Segnali esterni che coinvolgono i sensi, come il tatto, l‘udito ma soprattutto la vista. Effluvi elegiaci stillano dal soggetto nell’atto di percepire, forse comprendere, tali segnali naturali: la pioggia che aumenta, riempie le strade, le pulisce «come un racconto», l’ordine, se c’è, naturale e antropico, del paesaggio, i condomini umani troppo umani della Valdarno, oppure le campagne roventi di sole ove si sovrappongono dialoghi soffocati, ritmi di cicale, folate onnipervasive di ricordi di infanzia e onde elettromagnetiche. I sensi si spingono fino a cogliere il quasi impercettibile: spostamenti di «masse d’aria» tra «filari di antenne», visioni di vento nel solo ritratto delle «cose che muove».

Ma, laddove non arriva la percezione, laddove «l‘enumerare» ciò che c’è intorno è «una magra consolazione » il poeta apre le porte ad un linguaggio esplicativo che, veicolato da pensiero e immaginazione, nel suo tentativo perforare la rete dei sensi, attinge all’ambito della fisica molecolare e discende (e qui si spiega il duplice esergo che rimanda al tema della discesa in un mondo di cui nulla si sa, oscuro, denso di mistero) nello stato della materia, vivente e non vivente. Scene di disarmante quotidianità vengono di balzo associate a focalizzazioni sulla materia ad un livello micro- e macroscopico: l’atomo si sfalda in briciole quantiche, l‘energia si fraziona in fasci di fotoni, i corpi sono raggrumati in conglomerati cellulari e, di contro, in macroscala, il pensiero a tratti abbraccia l‘intero ordine del cosmo, dagli astri e dalle loro fusioni nucleari agli strati più profondi al di sotto della crosta terrestre. La struttura materiale della natura è intrisa di energia vivificata e vivificante e processi fisici/fisiologici di vario tipo si corrispondono in un rimando continuo di metafore naturali: le piante stesse che, in maniera endogena, traggono da sé nutrimento per le gemme nate sui rami, vengono paragonate ad un nucleo incandescente che da sé rigetta il suo stesso magma, ad uno stomaco che vomita sé stesso.

Nelle liriche si fa uso a profusione, com’è chiaro da quanto detto e come si evince dall’antologia sottostante, di una terminologia scientifica altamente definitoria ma, e questo è un altro dei tratti di Socci, non digitale. Nella raccolta, e si tratta di una raccolta di un poeta classe ’91, c’è qualche sparuta traccia di lessico digitale (relativa a una dating app), ma si riscontra per lo più una mancanza di riferimenti a realtà virtuali, a popolari social network e dinamiche a essi connessi. Anche se la raccolta è stata concepita in epoca pre-covid19 (alcune sue liriche inedite erano state segnalate all’edizione 2019 di Bologna in Lettere) ciò pare di particolare rilevanza perché, alla stregua di altri poeti appartenenti anche ad altre generazioni, va – diversamente da altri indirizzi poetici – in controtendenza rispetto alla particolare contingenza storica dove vige, già da decenni, una definizione di spazi virtuali e una marcata dematerializzazione (penso alle riflessioni sulle dinamiche intercorrenti tra soggetto e oggetto di raccolte poetiche di questi anni, come L’indifferenza naturale di Italo Testa, Soluzioni fisiologiche di Luciano Pagano, Le cose del mondo di Paolo Ruffilli, Linea di galleggiamento di Luca Bresciani).

Ogni cosa appare dunque sub specie materiei, ma alle immagini vitalistiche di una natura in rigoglio e in perpetuo divenire, colta nella sua struttura micro- e macro-materiale, fa da contrappunto un‘umanità residuale sia nelle immagini che accompagnano l’estrinsecarsi della corporeità (le croste che rimangono sugli occhi, l’immagine potente dello stomaco che vomita sé stesso, come se si stesse rigettando), sia nei ritratti della variegata umanità che popola squallida i condomini della Valdarno (uno zoom ad un livello microscopico fotografa un ovulo fecondato da un intercorso sessuale meccanico e routinario, una coppia di fidanzati fa precedere alla fornicazione la sadica esperienza estetica di un video in cui un uomo obeso si ingozza, una donna anziana recupera due uova di piccione e, prima di rimetterle nel vaso, le mette a bollire aspettando che il piccione ritorni). Il non-amore dilaga e l’umanità è in grado solo di produrre gli «scarti del giorno», organici, le immondizie quotidiane, e fisiologici, gli svuotamenti di vescica al mattino, le mutande sporche nel cesto del bucato. Solo di rado brilla una speranza, magari nei nugoli di bimbi che si dedicano alla pulizia delle spiagge. Ne deriva un senso di (talvolta gaudente) vuotezza, di mancata condivisione, che permea il soggetto tutto proteso, certamente nella conoscenza del reale, ma anche nel sogno di un’autarchia impossibile (L’acqua / disintegra le rocce sale a sale / e gonfia le radici dei banani / tornando negli oceani. Vorrei / colmare anche io i vuoti tra le cose / e avere come lei me stesso /soltanto per destino).

Le scelte stilistiche sono sulla stessa linea di quelle tematiche: il lessico scientifico (con termini desunti dalla fisica molecolare, dalla geologia, dall’astronomia e dalla biologia) si sposa ad un piano lirismo puntellato da lievi ironie e morbidi enjambements sintattici. Nella sua raccolta d’esordio, Socci sfoggia uno stile asciutto (il poeta stesso definisce la poesia come progressivo sfrondamento sino ad arrivare ad un «tronco nudo») ed esso è in effetti ben d’effetto e studiato per dare forma al suo ritorno, anzi alla sua discesa nella materia, che però più che fiducia nella scienza e nelle sue potenzialità, si configura come un tentativo di spingersi oltre l’umanamente coglibile per penetrare il sostrato di ogni cosa, ciò da cui ogni cosa proviene, una riappropriazione insomma di ciò che innegabilmente esiste.

 

Pisa – Firenze

L’ordine che impone al paesaggio
il fiume: la superficie increspata
dal vento, le anse irregolari,
un tronco che galleggia.
Ma le persone, quale ordine
le persone? Nei condomìni
della Valdarno, dentro i capannoni,
sui vagoni del treno merci
che stanno caricando?
In un appartamento, un ovulo
sta per essere fecondato. Il pranzo
è appena finito e la donna
a cavalcioni geme sulla sedia
in cucina, muovendo a ritmo
il bacino. Sale il caffè.
Dalla televisione accesa
il giornalista incravattato
riporta gli eventi del giorno
a sua immagine e somiglianza.

La voce incostante del mondo:
semafori, autoambulanze, aeroplani.
Sembra invitarmi a qualcosa. La luce
che si riversa nella stanza illumina
alle pareti gli animali
a sangue freddo. Disteso sul letto,
mi godo i processi endotermici
del mio corpo. Sono calme
oggi le strade, lungo
le quali nessuno mi aspetta.

 

Domenica, piove. Sul marciapiede

Un ragazzo si ferma per scattare
una foto all’uccello
morto in mezzo alla spazzatura:
un’immagine oscena e priva di senso.
All’ultimo piano del condominio,
mentre il piccione sorvolava il parco
in cerca di cibo, la vecchia
ha tolto le uova dal nido
sul davanzale della cucina.
Le ha rimesse a posto
dopo averle bollite nell’acqua,
e ha atteso bevendo un tè
che il piccione tornasse.
La pioggia aumenta, pulisce le strade
come un racconto. Per immortalare
il vento possiamo soltanto
ritrarre le cose che muove.

Ti circondano le pareti bianche
di una stanza. Dalla fessura
nella portafinestra
senti la pioggia riempire le strade.
Le masse d’aria attraversano la città,
passano filari di antenne, segnali
terrazzi concimati dai piccioni,
prima di entrare in casa
sfiorandoti la mano.
Sdraiato sul divano, sembra allora
di capire il teorema dei cicli:
calore prodotto nel nucleo,
rocce metamorfiche sotto
radici che si allungano alla polpa,
chilometri di arterie dove corrono
ordigni innescati dal sole
per brillare sui rami.
Le schegge fuoriescono, gli stormi
riposano tra un viaggio e l’altro.
L’onda meccanica della tua voce
si propaga nella stanza,
raggiunge la portafinestra
e ritorna in gola, senza
spostare nulla, come il più immediato
dei molti corollari.

A volte capita che non ci sia
bisogno di scavare. La sostanza
dal nucleo risale, e fuoriesce
per capillarità,
come uno stomaco
che vomita sé stesso.
Così, ad esempio,
vedi sui tronchi degli alberi
prendere corpo le gemme.

 

Gli amanti si danno tregua, la luce

Dal fondo della camera avanza
mentre lei sistema il cuscino. Un camion
raccoglie dalla strada
gli scarti del giorno, i condomìni
escono dai loro sogni
e dopo aver svuotato
le vesciche, preparano il caffè.
Mattino, alle finestre bussano
faccende insondabili
come il pianto di un neonato.

 

InSight

È stata una giornata priva
di fatti notevoli, cose comuni
come i cicli delle maree. Scriverlo
non serve a dare loro importanza. I due
seminudi si abbracciano a letto.
Lei ha le mestruazioni quindi
preferiscono non scopare. Adesso
l’evento è questo:
l’ossigeno nel buio di una stanza
al ritmo dei respiri sta entrando
nei loro globuli rossi. Zanzare
sorvolano i corpi, mosse da istinti
vecchi milioni di anni. Su Marte
un trapano buca la roccia
per misurare il calore che affiora,
lo stato della materia
nel nucleo del pianeta.

 

Riccardo Socci (1991) è dottorando in Studi Italianistici all’Università di Pisa, dove si occupa di poesia italiana del secondo Novecento. Lo stato della materia (Arcipelago Itaca 2020) è la sua raccolta d’esordio. Per questa raccolta ha vinto la quinta edizione del Premio nazionale editoriale di poesia “Arcipelago Itaca”.

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