Dall’introduzione di Anna Aresi

Contrabbando di upupe è la seconda raccolta in inglese di Ewa Chruściel, poetessa polacca trapiantata negli Stati Uniti, presentata qui per la prima volta in italiano in versione integrale. Come suggerito dal titolo, la raccolta esplora il tema del contrabbando. Dell’attraversamento legale o illegale di confini insieme a oggetti di vario tipo, più o meno permessi. Ma anche e soprattutto insieme a sentimenti, idee, attitudini e lingue che possono essere percepiti da chi riceve l’immigrato o come una minaccia alla propria identità, o come grande potenziale di arricchimento umano e culturale. Nel momento stesso in cui trattano dei confini e del loro attraversamento, le poesie di Chruściel mettono in discussione, o cercano di trascendere, il concetto stesso di confine e la sua legittimità in quanto limite posto arbitrariamente da alcuni per separare e per etichettare l’Altro come diverso e pericoloso. Nel testo “Mia nonna mi fa il bigos”, ad esempio, si scopre che la parola “bigos”, piatto tradizionale polacco, potrebbe in realtà avere origini tedesche. Uno dei piatti più rappresentativi della cucina nazionale polacca, quindi, affonderebbe le sue radici linguistiche in terre altrui, causando così: “La confusione dei confini. | La liquidazione dei confini”. La raccolta si snoda su diversi livelli, abilmente intrecciati dal punto di vista tematico e linguistico. C’è la vicenda autobiografica di Chruściel che dalla Polonia si reca negli Stati Uniti, portando con sé vari “pezzi” della propria terra natale (cfr. ad esempio “Compro una salsiccia”, “Prima del viaggio in America”, “Contrabbando le sue sottogonne”). Ci sono le vicende dei moltissimi immigrati giunti negli Stati Uniti attraverso Ellis Island, alcuni di loro diventati famosi per i contributi dati alla cultura americana e mondiale, i più rimasti nell’anonimato*. C’è infine la vicenda dell’upupa, uccello importantissimo e portatore di moltissimi significati non solo nella tradizione letteraria occidentale, ma anche nella tradizione ebraica e in quella mistica islamica. Nella Bibbia ebraica, il re Salomone invia un’upupa come messaggero alla regina di Saba per convertirla al monoteismo, missione che essa compie con successo grazie al dono della parola. Mentre nel poema persiano Il verbo degli uccelli, del mistico Farīd ad-dīn ‘Attār, l’upupa convince tutti gli altri uccelli a intraprendere un viaggio alla ricerca del leggendario Simurgh, metafora di Dio e della conoscenza. Nel 2008, l’upupa è stata scelta come uccello nazionale di Israele, e allo stesso tempo essa simboleggia l’esilio per i Palestinesi. Questi sono solo alcuni dei molteplici significati che l’upupa incarna di volta in volta, o contemporaneamente, nelle poesie di questa raccolta. L’upupa è quindi portatrice sia di pace che di scompiglio. È un agente positivo di cambiamento, ma di un cambiamento che – per poter realmente avvenire – porta a mettere in discussione certezze, vecchie opinioni e credenze. Aprendoci – anche dolorosamente – al nuovo, all’imprevisto, all’Altro da sé. L’upupa è solo un esempio della stratificazione e dell’intreccio di significanti e significati che costituisce forse la cifra stilistica più importante, tanto di questa raccolta quanto della poesia di Chruściel in generale. Già il titolo della prima raccolta in inglese, Strata, esprime la volontà (e la difficoltà, quando non l’impossibilità) di tenere insieme due (o più) mondi. In inglese, infatti, “strata” significa “strati”, mentre in polacco la stessa parola significa “perdita”, come ricorda anche un’autocitazione nel testo “Preghiera” presentato in queste pagine: “strata, che | nella mia lingua significa | perdita”. L’interazione e la tensione tra molteplici lingue, culture e tradizioni tengono tenacemente insieme i testi di Contrabbando. Come fossero fili di stoffa intessuti in un unico arazzo, che si estendono però anche al di là della raccolta andando a infiltrarsi – mediante citazioni, ritorni e richiami – con le raccolte precedente e successiva. Infine, la giocosa invenzione linguistica di una parlante che, forse più disinibita ma certo non meno competente di una madrelingua, sperimenta con l’inglese in modo libero, imprevedibile e coraggioso, conferisce alla raccolta una leggerezza ariosa, che sembra stonare ma allo stesso tempo sottolinea la drammaticità delle tematiche affrontate.

 

*Le vicende dei milioni di immigrati giunti negli Stati Uniti attraverso il porto di Ellis Island, un isolotto artificiale situato nella foce dell’Hudson nella baia di New York, confluiscono in particolare nella serie “Ellis”, costituita da quattordici poesie progressivamente numerate. La documentazione relativa è stata raccolta da Chruściel durante una serie di visite al museo dell’immigrazione di Ellis Island (Ellis Island Immigration Museum) e al Tenement Museum di New York. Il Tenement Museum, situato al 97 di Orchard Street (cfr. “Cosa lasciarono gli abitanti delle case popolari di Orchard Street”, “Ellis XIV”), nel Lower East Side di Manhattan, si trova in due edifici storici che nel corso del XIX secolo ospitarono circa 15.000 immigrati di classe operaia di oltre venti nazionalità. Le abitazioni sono state preservate come erano allora, e lo scopo del museo è quello di sensibilizzare il pubblico al ruolo fondamentale che gli immigrati hanno avuto nella formazione e nello sviluppo della società americana. (NdT).

 

 

Da Contrabbando di upupe (Ensemble, 2019)

La prima volta che andammo in Bulgaria coi genitori era il
1978. Non c’era carta igienica nei negozi polacchi. Cos’è
l’umanità senza un rotolo decente di carta igienica? Tutte le
volte che vedevo la carta igienica, l’arrotolavo in segreto.
Volevo portare a casa un po’ di quel lusso. Nei paesi
occidentali la carta c’era, ma non c’erano verità da scriverci
sopra. Noi la verità la sapevamo, ma non avevamo la carta.
Niente carta per pulire il sistema. Lo portavamo sul culo come
una zolla. Che cultura è che non si sa rigenerare con una sana
digestione? Là è dove abbiamo visto il sistema. Non
abbastanza carta igienica per scaricarci l’atteggiamento. Non
c’è buona letteratura senza buona carta igienica.

 

The first time we went to Bulgaria with our parents it was
1978. There was no toilet paper in Polish shops. What is
humanity without a decent roll of toilet paper? Every time I
saw the toilet paper, I would roll it secretly. I wanted to bring
some luxury home. In Western countries there was paper, but
no truth to write on it. We knew the truth, but had no paper.
No paper to wipe off the system. We carried it like a turf on
our asses. What is the culture that cannot regenerate itself by
healthy digestion? This is where we beheld the system. Not
enough toilet paper to relieve our attitude. There is no good
literature without good toilet paper.

*

Ellis I

portavano scatole portano piume portan trapunte portarono
bibbie portavano candele portano cuscini portano vuoti e
mappe portano botti blu di tristezza portano una capra viva
portarono botti di cetrioli portano un vestito da luna di miele
portano pinzette portavano spillette portavano bottoni
portavano crocifissi portano uova benedette dipinte a mano
portavano il libro delle preghiere portano coltellini tascabili
portavano lacrime portano macchine da cucire portano
scarpe di asino come portafortuna portavano un duende scuro
& luminoso portavano bambini portavano fisarmoniche
portavano pipe di ceramica portano paure portano lenzuola
portano wurst e pretzel, ciambelle, bajgiel e knish, portano la
distanza da ciò che più hanno amato portarono vocali e
consonanti portarono spezie e intersezioni portarono cuscini
per dormire portarono copriletti portarono asciugamani
portano mangani portarono mattarelli portano un
portaspezie portano il dolore in cento dolori portan la
speranza in cento speranze

 

Ellis I

they carried boxes they carry goose feathers they carried
comforters they carried Bibles they carried candlesticks they
carry pillows they carry voids and maps they carried blue
barrels of sadness they carry a live goat they carried barrels of
pickles they carry a honey-moon dress they carry tweezers
they carried pins they carried buttons they carried crucifixes
they carry hand-painted Easter eggs they carried The Book of
Common Prayer they carry pocketknives they carried tears
they carry sewing machines they carry donkey shoes for good
luck they carried luminous & dark duende they carried
children they carry accordions they carried ceramic pipes they
carry fears they carry sheets they carry wurst and pretzels,
doughnuts, “beygals,” “knishes,” they carry the distance from
what they loved the most they carried vowels and consonants
they carried spices and intersections they carried bed pillows
they carry bedspreads they carried towels they carry mangled
boards they carried rolling pins they carry a spice shaker they
carry their grief into one hundred folds of grief they carry
their hopes into one hundredfold of hope

*

Prima del viaggio in America, mio padre arriva all’aeroporto
con un piatto di pierogi. Mi incoraggia a mangiarli. Il suo
modo di assicurarsi che mi porti in pancia l’intera Polonia.
Sono incinta di grano polacco con papaveri e capre. Dar da
mangiare agli altri è dire “Ti amo.” Non morire. Ti nutro. Ti
dono un pezzo della mia terra. Il lungo solco di un contadino
in un campo? Fossi e vento acerbo? I nervi nascosti di ogni
pagnotta? Come bisbiglia questo pane. Fruscia e stride. Una
passeggiata nel bosco, l’impastare e il modellare delle tue
mani.

 

Before I leave for America, my dad comes to the airport with
a dish of pierogi. He entices me to eat them. His way of
making sure I smuggle the whole of Poland in my belly. I am
pregnant with Polish wheat, with poppies and goats. To feed
others is to say “I love you.” Do not die. I sustain you. I give
you a piece of my earth. The long tread of a farmer in a field?
Furrows and raw wind? The hidden nerves inside each loaf ?
How this bread whispers. It rustles and creaks. A walk in the
woods, the kneading and molding of your hands.

*

Contrabbando le sue sottogonne a cerchi. Regina del forno e
dei cassetti ripieni di caramelle. Isterica che ci inseguiva con
pezzi di pane

foderati di miele. Zarina delle lamentele domestiche, cicala di
corteggiatori, ippopotamo d’ipocondria, curatrice di
scoreggie nascoste.
Contessa dei bazar della chiesa. Mia postuma sposa ora
interrata in una tinozza di semi di papavero:
Babuška. Nonna dei vasi di fiori rivestiti di carta d’oro:

Come potrò trovarti ancora
nella palude di questo mondo?

 

I smuggle her hula hoop skirts. Queen of the oven and
drawers stuffed with candy. Hysteric who chased us with
hunks of bread

upholstered in honey. Czarina of household complaints,
cicada of suitors, hippo of hypochondria, curator of covert
farts.
Countess of church bazaars. My posthumous bride now
interred in a vat of poppy seeds:

Babushka. Grandma of flower pots dressed up in gold foil:
How can I find you again
in the bog of this world?

Appropriazione della mia poesia in polacco “Oda Rzeszowska” nella traduzione inglese di Karen Kovacik. (NdA)

*

Ellis VI

Ann Andersen dalla Danimarca porta un lenzuolo usato
soltanto per i parti. Quel lenzuolo, un sudario del ventre.
Genera nascite. È il suo lascito. Lo mostrerà al suo nuovo
dottore. Produce un forte rumore azzittente. Il sangue pulsa
attraverso il bianco cotone. Il lenzuolo porta un neonato in
lacrime. Coprirà strade e viali deserti. Li popola.

La famiglia Mirelowitz porta con sé un mandolino, fotografie,
due bicchieri e tre bambini. Li legano tutti in fagotti mentre
scappano da Vilnius. È il 1909.
Pogrom contro gli ebrei.

Helena Bastedo si mette addosso sottovesti, vestiti, maglioni,
cappotti. È enorme. Porta con sé l’angelo custode dei suoi
vestiti. È un guardaroba ambulante.

La famiglia Perdikis da Cipro porta con sé un centrino, uno
scialle, un’icona di San Giorgio che uccide il drago, un
bastone d’ebano da bambini, un diploma di un gruppo di Boy
Scout, un’icona di Sant’Elena, un fiaschetto di legno, pezzi
di corallo dalle acque attorno a Larnaca.

 

Ellis VI

Ann Andersen from Denmark takes a sheet used only during
deliveries. Her sheet, a shroud of the womb. It springs birth.
It is her legacy. She will show it to her new doctor. It produces
a loud shushing noise. The blood pulses through white
cotton. The sheet carries a crying infant. It will cover empty
avenues and streets. It populates.

The Mirelovitz Family takes with them a mandolin,
photographs, two drinking glasses and three children. They
tie all these in bundles while fleeing Vilnius. It is 1909.
Pogroms against Jews.

Helena Bastedo puts on herself petticoats, dresses, sweaters,
coats. She is huge. She carries the guardian angels of her
clothes. She is a walking wardrobe.

The Perdikis Family from Cyprus takes with them a doily, a
shawl, an icon of St. George killing a dragon, a child’s ebony
cane, a diploma from a Boy Scout Troop, an icon of St. Helen,
a wooden flask, pieces of coral from waters around Larnaca.

*

Preghiera a mezz’aria

Porto sul collo i piedi di un mistico.
La nube della non-conoscenza.
C’è un volto dentro il mio volto.
Un airone sacro.
Un eikon viene qui inciso
a sassolini.
Permanenza del santo.
Delineo dei cerchi.
I tratti, continui.
Portiamo dentro di noi la Luce.
I nostri volti, ciascuno – un’icona,
strati traslucenti di colore.
I confini delineano il sacro.
Il sacro si nasconde in attraversamenti,
intercessioni, reliquie di possedimenti.
Reliquie di bagni e cucine,
sospesi su nuovi precipizi.

 

Prayer in Mid-Flight

I carry the feet of a mystic on my neck.
The cloud of unknowing.
There is a face within my face.
A sacred heron.
Eikon is being engraved there
through pebbling.
Indwelling of the saint.
I delineate the circles.
The strokes, continuous.
We carry the Light with us.
Our faces, each–an icon,
translucent layers of color.
Boundaries delineate the sacred.
The sacred hides in crossings,
intercessions, relics of belongings.
Relics of kitchens and toilets,
hanging over new precipices.

*

Preghiera velocissima della dogana

Lo avvolge. Lo nasconde. Lo tiene sotto il banco.
Lo traveste da albatros bianco. Tiene con sé vitamine per lui.
Lui le svolazza sopra la testa. Lo traveste da pietra. Le gru
stringono pietruzze tra le zampe per allontanare il sonno.
Lo chiama upupa. Si riferisce a lui come “evanescenza.” La
nube della non-conoscenza. Tra le mani lei stringe rosari. I
grani si fiondano nello spazio. Gettano i semi in faccia alla
gente.
Si aggregano al livello dei nervi. Ondulano.
Lei contrabbanda litanie, Santi, epifanie. C’è nobiltà nel
contrabbandare sempre una stessa cosa.

 

Split-second Prayer through Customs
She wraps it up. She hides it. She keeps it under the counter.
She disguises is as white albatross. She keeps vitamins for it.
It hovers above her head. She disguises it as a stone. Cranes
hold little stones in their claws to ward off sleep.
She calls it a hoopoe. She refers to it as evanescence. The
Cloud of Unknowing. In her hands she clasps rosaries. Beads
leap through the space. They fling their seeds in people’s faces.
They accrete to the level of their nerves. They undulate.
She smuggles litanies, Saints, epiphanies. There is nobility in
smuggling the same thing over and over again.

 

Ewa Chruściel è una poetessa, traduttrice e professoressa di scrittura creativa preso il Colby-Sawyer College in New Hampshire (USA). Ha pubblicato tre raccolte di poesia in polacco (Furkot, 2003; Sopiłki, 2009 e Tobołek, 2016), prima di passare all’inglese, sua lingua adottiva, in cui ha all’attivo le raccolte Strata (2009), Contraband of Hoopoe (2014) e Of Annunciations (2017). Quest’ultima è una serie di preghiere, lamenti e ninnenanne che trattano dell’attuale crisi migratoria. Ha tradotto dall’inglese al polacco autori come Jack London, Joseph Conrad, I.B. Singer e poeti tra cui Jorie Graham, Kazim Ali, Lyn Hejinian, Cole Swensen.

Anna Aresi vive a Providence (USA) dove lavora come insegnante, editor e traduttrice. Collabora con le riviste online Asymptote e Mosaici.

 

Foto: Ewa Chruściel in uno scatto di Michael Seamans

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