Particolare da Manifestazione (1973) di Ennio Calabria

«Due modi vi sono di considerare la relazione tra poesia e lavoro: uno è quello che vede il lavoro come oggetto della poesia, l’altro è quello che vede la poesia come uno dei soggetti del lavoro; il primo produce il pauperismo, l’Arcadia operaista e altre amenità per consolare il cuore, il secondo è l’espressione profonda della crisi del lavoro stesso all’altezza storica del nostro tempo. Ieri, quando per qualche tempo il lavoro fattosi stato e forza storica incarnata ebbe bisogno di celebrarsi come tale, la via oggettivista della poesia al lavoro diede al mondo la poesia di regime, con il risultato di far passare la vera carica eversiva a quella poesia che era tanto più lavoro in sé quanto più dalla forma storica esteriore del lavoro essa rifuggiva, oggi essa raffina gli oppiacei di cui gli oppressi hanno bisogno per sentirsi giusti e rende nobili e lucide le loro piaghe, ma gli oppressi non sono giusti se non quando si ribellano a chi li opprime e mettere la tuta blu a satiri e ninfe è solo un espediente di ricatto».
Così mi esprimevo qualche anno fa incominciando una serie di tesi su poesia e lavoro, tesi per una discussione che di fatto non c’è stata, né allora né nel tempo intercorso. Certo la causa non sarà stata quel mio linguaggio troppo fiorito, quel marxismo ingenuamente travestito in citazioni perché potesse passare in un tempo a lui ostile come chi si mettesse dei baffi posticci per entrare in una zona vietata.
Non riformulo, chi avrà voglia scoverà quel testo, evidentemente poco significativo, come del resto quasi tutti i testi di un autore contemporaneo vanno scovati. Un elemento mi pare però significativo nel suo perdurare: quando si pensa al rapporto tra poesia e lavoro immancabilmente lo si oggettivizza. Poche storie, la poesia del lavoro è quella che parla di chi lavora: contadini, operai, a volte persino “impiegatizie frustrazioni” (penso a un Giovanni Giudici) e magari le tante poesie “di mestiere” e oggi probabilmente persino riders, fattorini, domani magari astrotrasportatori.
Certo simili forme sono esistite, esistono ed esisteranno ed hanno una loro importante funzione non solo estetica, ma trovo, se possibile oggi ancora di più, necessario parlare invece della poesia come lavoro, cioè delle condizioni e delle forme in cui la poesia, il testo poetico, viene prodotto.
Cosa accade se ad esempio diventiamo, quali siamo ormai tutti, poeti della domenica? In che modo il nostro produrre e fruire poesia è trasformato dal collasso delle strutture precedenti? L’educazione letteraria e il sistema dei generi e dei gusti che sostenevano da un punto di vista ideologico (anche nelle sue varianti di estremismo negazionistico dell’avanguardia) la produzione letteraria sono crollati decenni fa, l’industria culturale, per quel che posso vedere, quella, si intende, che alcuni di noi hanno imparato a temere, usare, criticare, subire, cavalcare secondo i gusti, non si avvale praticamente più dei poeti e naturalmente al suo posto è sorto il Moloch di Internet, strumento di potenzialità notevoli (pensiamo a questo stesso blog da cui mi leggete, o a tanti altri simili) e di altrettanto notevoli rischi.
Indubbiamente anche la poesia soffre di quella info-pollution che i sociologi angloamericani già negli anni Ottanta avevano cominciato a rilevare come una delle caratteristiche della società capitalistica occidentale: un sovraccarico di informazioni che invece di rendere più semplice orientarsi e informarsi lo rende più difficile se non impossibile, viene poi il sospetto che la dilatazione dello spazio letterario che internet ha reso possibile lo renda parimenti evanescente e impalpabile così come accade con lo spazio pubblico e politico. Certo assieme all’info-pollution si teorizzava anche la libertà di informazione e di espressione ad un livello mai raggiunto in precedenza, magari portando ad esempio qualche canale web clandestino contro una dittatura o qualche piazza mobilitata attraverso i social network, salvo poi scoprire, naturalmente, che qualsiasi incontro da quelle piazze derivasse si sarebbe svolto a porte chiuse, che esistevano le fake news e i mercenari dell’informazione on line, che, ovviamente, anche la libertà di far arrivare potenzialmente a chiunque sia dotato di un computer la propria parola è subordinata a centrali di diffusione delle informazioni, a reti sulle quali è esercitato potere e controllo. Ora, sinceramente, a me che questo potere lo eserciti un magnate della carta stampata, uno della televisione, o uno dei big data e del web non pare una grande differenza in termini di democrazia.
Ma torniamo alla poesia e a noi poeti della domenica, tutti di secondo mestiere, che gettiamo testi sulla rete o nel confuso e avventuroso mondo della piccola e media editoria, come potrebbe in fondo essere altrimenti? Certo, l’effetto bolla che internet e in special modo i social network garantiscono può anche essere paradossalmente una forma di sostegno e di alternativa alla scomparsa di quella letteraria “società stretta” che ha alimentato, letto e scritto la letteratura occidentale nei due secoli 1789-1989 e che è scomparsa lentamente all’inizio del nuovo millennio.
Non la rimpiangiamo, anche se non si può ritenere un male in alcuni dei suoi effetti: oggi quante redazioni di rivista si riuniscono davvero? Quante svolgono un lavoro di ricerca e non semplicemente di selezione di articoli inviati alla cieca? Quale editore produce una collana coerente e di alto livello di autori in contatto tra loro? (insomma, Lo Specchio Mondadori o la bianca Einaudi hanno un loro prestigio non perché sono questo, ma perché lo sono state).
Il vero punto però è un altro: ogni tanto si sarebbe tentati di chiedere, quando si parla di letteratura? Chi di noi ha mai visto un proprio testo discusso e non solo piattamente recensito? Dietro la democraticità presunta, la diversità ampiamente esaltata di stili, caratteri, personalità, idee si cela forse la più grande serie di monologhi mai vista.
A scorrere le liste dei nomi pubblicati da alcune case editrici, o delle centinaia di sillogi che arrivano ai premi di poesia vengono le vertigini: è di qualche settimana fa l’appello di Gallimard ai francesi a leggere di più e scrivere di meno perché la casa editrice era invasa dai manoscritti. Credo che ogni autore o autrice di versi di buon senso provi, al vedere queste lunghe liste (ovviamente perlopiù di sconosciuti anche per chi legge poesia contemporanea), un sano timore: tutti questi + 1, e chissà che io stesso non sia un + 1 per il tale X o Y che scorre questa lista! Cosa aggiungo poi davvero io a questo pletorico, abnorme e magari “inquinato” panorama?
Non vogliamo certo una selezione dittatoriale e arbitraria (come potrebbe non essere anche arbitraria vista la mole?), tuttavia ad esempio il fatto che soltanto i nomi dell’elenco che segue queste righe siano di più di quelli che un lettore anche colto riesce a ricordare della poesia italiana mettiamo nel periodo 1930-1970 (se si va più indietro forse ci vorrebbero secoli interi!) non può non far riflettere.
Spesso incliniamo, nel rapportarci alla poesia contemporanea, ad uno sguardo sociologico e, per così dire, ad un’esigenza di catalogazione tanto quanto verso il passato letterario siamo inclini a una storicizzazione che archivi e dimentichi (è necessario anche alle non capienti tasche del poeta contemporaneo) e a cercare non una immaginosa “visione totale” ma, come è giusto, una visione parziale e prospetticamente ricca, che sia coerente in se stessa e motivata da una qualche esigenza o criterio di giudizio.
Si potrebbe proporre di farsi guidare più da questo secondo impulso anche nei confronti della poesia contemporanea, un sano “meglio meno ma meglio” che, probabilmente, proteggerebbe un po’ più efficacemente il lavoro della poesia anche in termini di garanzie materiali e ne innalzerebbe la qualità. Mi accorgo che però a parlare ora è quella parte di me che, come autore ma anche come uomo, cerca un classicismo che implichi l’idea di una tradizione come elemento che conferisce senso all’esistenza (e si sa, ogni tradizione implica esclusione, la tradizione non è per nulla “inclusiva” come si usa dire); magari sarà un classicismo anche un po’ livoroso quando si accorge, ahilui!, che la contemporaneità non si muoverebbe e non si coagulerebbe nemmeno nella tradizione che vorrebbe: la sola tradizione autentica, cioè non quella che si conserva e perpetua nell’obbedienza ma quella che si vivifica nella sua distruzione.
«Al pomeriggio i pittori impressionisti rivoluzionavano la pittura, ma al mattino copiavano i dipinti del Louvre» mi è stato detto più o meno poco prima che imparassi chi fosse Dante Alighieri. Bellissima cosa certo, ma che succede se invece i poeti al mattino devono andare in ufficio, a scuola, in officina, al negozio etc. e se al pomeriggio devono cucinare, lavare, stirare, badare ai figli o magari fare un secondo, terzo, quarto lavoro precario per arrotondare i magri stipendi di questo XXI secolo? Anche di questo si dovrebbe parlare quando si parla di poesia e lavoro.
Quando dunque si cerca una selezione, badiamo a che non sia anche, purtroppo, di classe prima ancora che di qualità. La letteratura di qualità potrebbe presto tornare ad essere quale era prima della vituperata “società stretta”: un affare per chierici e nobili, salvo naturalmente (e lo dico senza ironia) che i nuovi strumenti artistici redditizi non formino in questi decenni il Lope de Vega e lo Shakespeare delle sceneggiature Netflix.
I magri diritti d’autore dei poeti sono una leggenda, non so a chi siano mai stati versati; ogni tanto ci si sente anche rispondere che “sì ci sarebbero, ma sono così pochi”. Sono sicuro che tutti noi scuotiamo le spalle e pensiamo che in fondo, “non si fa per quello” e lo pensiamo con ragione, ma almeno una volta dovremmo provare ad andare in un negozio, prendere un capo di abbigliamento o una bottiglia e poi uscire dicendo “eh sì dovrei pagarti, ma è uno solo!”.
Del resto da un punto di vista editoriale si potrebbe persino dire che ogni poeta del + 1 costituisce l’esercito di riserva (magari pagante) a disposizione dell’editore che volesse malauguratamente pubblicare un libro di poesia e che diventa sempre più difficile essere in grado di dimostrare che, come investimento, si vale qualcosa più degli altri; da qui tutto il tric trac, l’affannarsi a pubblicare, recensire, presentare, postare e condividere per mostrare di essere un buon acquisto per un editore.
Se ci comportassimo come si comportarono alcuni poeti di qualche decina di anni fa: Fortini un libro ogni dieci anni, Sereni e Montale più o meno uno ogni quindici, Saba uno e basta, saremmo soavemente ignorati se non derisi. Di fatto in questi anni emerge una categoria socio-letteraria che fino a pochi decenni fa era, credo, inesistente: il “riesordiente”, il riesordiente è un autore che ha già pubblicato un libro o persino più di uno, può anche essere di mezza età o non più giovane e può persino avere una sua piccola notorietà nell’ambito letterario e poetico contemporaneo (alcuni riesordienti sono addirittura tradotti all’estero), ma non riceve offerte e commissioni editoriali, se vuole pubblicare i suoi versi si affanna in telefonate e mail a uffici editoriali informatizzati o, talvolta, concorre in concorsi (ma ve lo immaginate un Montale quarantenne che invia in busta anonima Le Occasioni per vedere se magari questa volta la spunta e non deve prendere in prestito i soldi della ditta di vernici?).
In tali condizioni non meraviglia poi molto che accada ciò che già Giudici notava nei suoi rapporti con i colleghi alla fine degli anni Ottanta: raramente ci si divide, ci si accapiglia su grandi questioni estetiche o su visioni del mondo, le divisioni nella poesia contemporanea sorgono più spesso per appartenenza a gruppi, per, dice Giudici, «mancate solidarietà pratiche»: non mi ha invitato, recensito, incluso, condiviso, rigorosamente alla terza persona, cioè a interessato assente: la seconda persona darebbe un sapore di disfida cavalleresca e demodé, inadatta ormai all’epoca della democraticità inclusiva.
Se arrivassero fra un paio di secoli o millenni dei filologi alieni e prendessero una delle collane di poesia diffuse ciclicamente da Repubblica, il Corriere o l’Espresso (sono quelle che probabilisticamente troverebbero) e facessero ciò che noi facciamo con la Suda, l’Antologia Palatina o i tragici, ne concluderebbero che al principio del XXI secolo la poesia era molto meno praticata che nel XX, che anzi i pochi autori rappresentati erano già tutti attivi nel secolo scorso e di non grande qualità, magari persino che la poesia era in decadenza ed era un’arte non più praticata dai giovani, ma avrebbero ragione?
Rispondiamo dunque alla domanda che lo stesso Giudici si poneva di fronte al sorgere massivo dei «verseggiatori di paese», «chi scrive quei brutti versi?»: io, noi forse, forse moltissimi di quelli elencati dopo queste righe, tendenzialmente di domenica, con molto affanno, poca speranza e quasi nessun giovamento per l’umanità, ma meno male che qualcuno continua così testardamente in un’operazione tanto rischiosa, distruttiva e antieconomica.
Perché? Perché sarebbe sbagliato pensare che siccome c’è una ingombrante poetry pollution chi non aggiunge il suo + 1 alla lista faccia sempre del bene: forse la domenica sera non si preoccupa, in un modo suo e magari fallimentare, del progresso culturale, artistico e intellettuale dell’umanità, forse una buona parte dell’umanità sta guardando video di gattini su facebook mentre noi, non me ne vogliano i gattini, siamo intenti al misconosciuto necessario lavoro della poesia che deve essere ben fatto e che, ci sentiremo dire milioni di volte, “non è un lavoro”.

Classifica

Al primo posto troviamo Emily Dickinson con La mia lettera al mondo (Interno Poesia 2019), volume a cura di Andrea Sirotti. Gabriele Galloni, poeta più letto nel 2020 con la selezione da L’estate del mondo (Marco Saya 2019) è al secondo posto. Terzo in classifica, Giorgio Caproni nella recensione di Aurora Castro a Genova di tutta la vita (San Marco dei Giustiniani 1997). Il saggio di Luca Mozzachiodi su Adam Zagajewski con le poesie tratte dall’antologia Guarire dal silenzio (Mondadori 2020) è il post più letto ad aprile. Segnaliamo anche l’uscita della Superclassifica Show con i titoli più venduti dai piccoli e medi editori nel 2020.

Tutta la classifica*

1. Emily Dickinson – Selezione da La mia lettera al mondo (Interno Poesia 2019)
2. Gabriele Galloni – Poesie da L’estate del mondo (Marco Saya 2019)
3. Giorgio Caproni – Recensione di Aurora Castro a Genova di tutta la vita (San Marco dei Giustiniani 1997)
4. Ivan Fassio – Testi da Il culto dei corpi (Raineri Vivaldelli Editori 2020)
5. Rosa Gallitelli Poesie da Selva creatura leggera (Passigli 2015)
6. Salvatore Toma – Selezione da Poesie (1970-1983) (Musicaos 2020)
7. Nicanor Parra – Recensione di Alessandro Mistrorigo a L’ultimo spegne la luce (Bompiani 2019)
8. Francesca Mazzotta – Testi inediti
9. Tomaso Pieragnolo – Poesie da nuovomondo (Passigli 2020)
10. Giorgiomaria Cornelio – Intervista di Carlo Selan e poesie da La promessa focaia (Anterem 2019)

Superclassifica Show. I libri di poesia più venduti dagli editori piccoli e medi

2017

2018

2019

2020

Poeti più letti nell’anno
Laura Marino 2017 – Inediti
Patrizia Vicinelli
2018 – Saggio di Davide Galipò
Simone Savogin 2019 – Poesie da Come farfalla (Mille gru 2018)
Gabriele Galloni 2020 – Estratti da L’estate del mondo (Marco Saya 2019)

Poeti più letti del mese
Carlo Bordini maggio 2017. Poesie tratte da I costruttori di vulcani (Luca Sossella 2010)
Angela Bonanno
giugno 2017. Saggio su tutte le opere, a cura di Silvia Rosa
Domenico Brancale
luglio 2017. Inediti, poi pubblicati in Per diverse ragioni (Passigli 2017)
Giancarlo Sissa
agosto 2017. Poesie tratte da Persona minore (Qudulibri 2015)
Franco Arminio
settembre 2017. Poesie tratte da Cedi la strada agli alberi (Chiarelettere 2017)
Hilà Lahav
ottobre 2017. Intervista e selezioni di inediti a cura di Biagio Guerrera
Marilina Ciaco
novembre 2017. Inediti
Laura Marino
dicembre 2017. Inediti
Elena Zuccaccia gennaio 2018. Poesie tratte da ordine e mutilazione (Pietre Vive 2016)
Gian Mario Villalta febbraio 2018. Poesie tratte da Telepatia (Lietocolle 2016), recensione di Carolina Rossi
Alberto Bertoni marzo 2018. Inediti
Francesca Martinelli aprile 2018. Poesie tratte da Ex voto di briganti, fate, santi, contadini (FrancoPuzzo 2017)
Pierluigi Cappello
maggio 2018. Poesie tratte da Le nebbie (Campanotto 1994/2003), saggio di Carlo Selan
Christian Tito giugno 2018. Inediti
Jonida Prifti luglio 2018. Inediti e intervista di Silvia Rosa
Noemi de Lisi agosto 2018. Poesie tratte da La stanza vuota (Ladolfi 2017)
Gabriele Galloni settembre 2018. Poesie tratte da Creatura breve (Ensemble 2018)
Vittoriano Masciullo ottobre 2018. Poesie tratte da Dicembre dall’alto (L’Arcolaio 2018)
Gaia Ginevra Giorgi novembre 2018. Poesie tratte da Manovre segrete (Interno Poesia 2017)
Adriano Spatola dicembre 2018. Saggio di Giovanni Fontana
Irene Paganucci gennaio 2019. Inediti
Simone Savogin febbraio 2019. Poesie tratte da Come farfalla (Mille gru 2018)
Francesca Mazzotta marzo 2019. Inediti
Enrico Marià aprile 2019. Poesie tratte da I figli dei cani (Puntoacapo 2019)
Federica Fiorella Imperato maggio 2019. Poesie tratte da Geografie interiori (Aletheia 2018)
Marijana Sutic giugno 2019. Intervista di Silvia Rosa, poesie inedite
Emilio Rentocchini luglio 2019. Poesie tratte da 44 ottave (Book editore 2019)
Tommaso Grandi agosto 2019. Inediti da Alla furia, con una nota di Rossella Renzi
Giovanni di Altavilla settembre 2019. Intervista a Lorenzo Carlucci e Laura Marino sulla riscoperta del poema Architrenius (Carocci 2019)
John Giorno ottobre 2019. Intervista di Domenico Brancale
Eleonora Nitti Capone novembre 2019. Inediti, poi contenuti in Primo fuoco (Musicaos 2019)
Emily Dickinson dicembre 2019. Poesie da La mia lettera al mondo (Interno Poesia 2019)
Raffaela Fazio gennaio 2020. Poesie da Tropaion (Puntoacapo 2020)
Luca Gilioli febbraio 2020. Inediti
Ivan Fassio marzo 2020. Poesie da Il culto dei corpi (Raineri Vivaldelli Editori 2020)
Francesco Benozzo aprile 2020. Selezione da Poema dal limite del mondo (Kolibris 2019)
Rosaria Lo Russo maggio 2020. Saggio di Beatrice Achille a partire da Crolli (Battello Stampatore 2006)
Faruk Šehić giugno 2020. Intervista di Christian Sinicco a partire da Ritorno alla natura (LietoColle 2019)
Giorgia La Placa luglio 2020. Poesie inedite
Giorgiomaria Cornelio agosto 2020. Intervista di Carlo Selan e poesie da La promessa focaia (Anterem 2019)
Gabriele Galloni settembre 2020. Poesie da L’estate del mondo (Marco Saya 2019)
Marcello Marciani ottobre 2020. Poesie da Revucegne / Rovistamenti (puntoacapo 2019), recensione di Christian Sinicco
Giacomo Leronni novembre 2020. Poesie da Scrittura come ciglio (puntoacapo 2019), recensione di Claudia Mirrione
Francesca Serragnoli dicembre 2020. Selezione da La quasi notte (MC Editrice 2020)
Franco Loi gennaio 2021. Una poesia da Voci d’un vecchio cantare (Il Ponte del Sale 2017) e ricordo di Davide Romagnoli
Marina Cvetaeva febbraio 2021. Selezione da La principessa guerriera (Sandro Teti Editore 2020), recensione di Giulia Bolzan
Nina Nasilli marzo 2021. Estratto da Prossimità (Book Editore 2019)
Adam Zagajewski aprile 2021. Saggio di Luca Mozzachiodi a partire dall’antologia Guarire dal silenzio (Mondadori 2020)

* Per la classifica vengono presi in considerazione i post pubblicati negli ultimi due anni e più letti nell’ultimo anno su Poesia del nostro tempo, nonché quelli pubblicati negli ultimi due mesi e più letti nell’ultimo mese. I dati di lettura si riferiscono alla visita diretta all’articolo di un utente singolo (eventuali altre letture dello stesso utente non vengono prese in considerazione).

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